giovedì 11 ottobre 2012

Amplificazione - 1 - I principi - I transistori bipolari


Premessa

Prima di inoltrarci nell'argomento occorre definire con un minimo di rigore cosa significa veramente "amplificare" in elettronica, indipendentemente dal genere di segnale che si intende amplificare o il tipo di amplificazione che si vuole ottenere.
Anzitutto occorre dire che In elettronica analogica l'amplificazione è giusto l'EFFETTO FINALE di un processo che in realtà non "amplifica" nulla bensì RIPRODUCE un segnale generando una sua copia (a meno di eventuali non lineraità) conforme e in scala con il segnale originario.

I meccanismi con cui avviene tale riproduzione possono essere di varia natura a seconda della tecnologia utilizzata: un'amplificazione nel dominio digitale non è altro che una moltiplicazione tra una sequenza di numeri che rappresenta il segnale da elaborare e un opportuno coefficiente che di volta in volta definisce quanto "deve essere più grande" (ma se occorre anche più piccolo) il segnale all'uscita del sistema rispetto a quello presentato al suo ingresso, avendo cura che esso rientri nel campo di variabilità numerica ammessa dal sistema digitale incaricato di "amplificare" quanto serve il segnale di ingresso (che altrimenti va in overflow, l'equivalente digitale della saturazione nei circuiti analogici).

Quelli di cui ci occuperemo di seguito sono però i sistemi di amplificazione analogici, in cui la riproduzione del segnale di ingresso all'uscita del sistema avviene in un solo modo e cioè utilizzando il segnale di ingresso come VARIABILE DI CONTROLLO di una seconda opportuna variabile dipendente (tensione, corrente, impedenza ecc.) che a sua volta definisce lo stato del circuito di uscita. Il buon funzionamento di questo meccanismo di controllo di una grandezza da parte di un'altra dipende interamente dalle caratteristiche fisiche ed elettriche di quelli che vengono genericamente definiti "dispositivi attivi" e che nella forma più generalizzata possibile si riassumono quasi sempre in un generatore dipendente di corrente inserito in un circuito (quello di uscita) la cui corrente viene definita e controllata da un segnale (solitamente, anche se non sempre direttamente, un segnale in tensione) presente in un circuito (quello di ingresso) che, pur controllando quello di uscita, viene da questo poco o punto influenzato. Questa unilateralità di controllo in un dispositivo attivo è in realtà il fattore chiave che rende possibile l'amplificazione nei circuiti elettronici, al punto che quando in un circuito l'unilateralità di un dispositivo attivo viene meno (ad esempio al crescere della frequenza di lavoro), viene meno anche la sua effettiva attitudine a funzionare da amplificatore.

Il principio base di lavoro dei tripodi attivi

Come già anticipato, in elettronica analogica un generico dispositivo attivo è di base un generatore di corrente controllato in tensione a cui, almeno concettualmente se non sempre fisicamente, è riconducibile QUALSIASI tripode attivo fondamentale a partire dai triodo degli albori dell'elettronica nel ventesimo secolo fino ai transistori bipolari e a effetto di campo usati oggigiorno in ogni combinazione possibile.
Tali dispositivi per svolgere con efficacia il loro compito devono: 1) assicurare che il controllo del circuito di uscita da parte del circuito di ingresso richieda il minor dispendio di energia possibile o, detto in altro modo, che il controllo della potenza impegnata nel circuito di uscita avvenga impegnando a sua volta una potenza nettamente inferiore nel circuito che esercita il controllo; 2) garantire la maggior unilateralità possibile tra circuito di ingresso e circuito di uscita, con una capacità di controllo del primo sul secondo nettamente superiore a quella che il secondo ha sul primo.
Dei due obiettivi, Il primo viene ottenuto controllando con un campo elettrico "l'apertura" di un canale conduttivo rispetto al flusso di portatori di carica (elettroni o lacune) che lo attraversano, ovvero comportandosi nei loro confronti come un vero e proprio "rubinetto elettrostatico" in cui la potenza richiesta per il controllo è solo quella che serve a regolare l'intensità del campo elettrico stesso, indipendentemente dalla potenza che che le cariche in transito rappresentano nel circuito di uscita (caratteristica da cui deriva il suo funzionare come generatore di corrente: questa viene virtualmente regolata sempre allo stesso modo quale che sia la tensione applicata agli estremi del canale conduttivo).
Il secondo obiettivo viene invece ottenuto alimentando i circuiti in continua: poiché in tali circuiti i portatori di carica possono fluire in una sola direzione SENZA ALCUNA POSSIBILITÀ DI TORNARE INDIETRO, l'unilateralità del dispositivo viene assicurata proprio da questo vincolo, il quale peraltro concorre a rafforzare la caratteristica di "generatore di corrente" alla base del funzionamento di questi dispositivi: semplicemente una volta che i portatori di carica sono passati oltre il "rubinetto" proseguono indisturbati per la loro strada indipendemente da ogni successiva variazione di "apertura" del medesimo.

Le differenze tra i tripodi attivi

Quanto sopra sta alla base del funzionamento di tutti i tripodi attivi oggi conosciuti. Le differenze fondamentali tra loro non stanno tanto nei principi generali (che, riguardando in un modo o nell'altro sempre il controllo degli stessi potatori di carica, rimangono immutati) ma piuttosto nei dettagli con cui, in ciascun dispositivo, viene operato il controllo dell'intensità dei portatori di carica in transito. Da questo punto di vista tubi elettronici e transistori a effetto di campo sono sostanzialmente sovrapponibili: la modalità di controllo è piuttosto simile e, non casualmente, simile è anche la sua efficacia nei due casi, entrambi caratterizzati da una transconduttanza - il parametro che caratterizza l'efficacia del controllo della corrente di uscita da parte della tensione di ingresso - piuttosto bassa (compresa tra alcuni milliampere e alcune decine di milliampere per volt, in alcuni casi chiamati più rigorosamente millisiemens).
Completamente diverso è invece il caso dei transistori bipolari e quello dei MOS di potenza che, anziché controllare la conduttività di canale "circondandolo" con un campo elettrico, lo controllano "attraversandolo" riducendo la barriera di potenziale di una giunzione PN (caso dei bipolari) oppure instaurando un "ponte" conduttivo che di fatto "scavalca" la barriera di potenziale di una giunzione polarizzata iinversamente. Nel primo caso la transconduttanza, elevatissima, viene ad essere definita dalla corrente che attraversa la giunzione base-emettitore; nel secondo è invece definita dall'efficacia con cui la tensione di polarizzazione gate-source del MOS di potenza è in grado di tenere aperto il "varco" nella giunzione contropolarizzata drain-source. La transconduttanza di quest'ultima situazione, pur molto elevata (e ben superiore a quella di un ipotetico dispositivo a effetto di campo che lavorante alle stesse correnti di uscita), è comunque nettamente inferiore a quella di un bipolare che si trovi a lavorare con le stesse correnti; in cambio però la velocità e la banda passante gestite dai MOS, a parità di densità di corrente di lavoro, non sono nemmeno lontanamente eguagliate dai bipolari di pari potenza.

Transconduttanza e limiti di amplificazione

La transconduttanza (che si rappresenta con il simbolo "gm", che sta per "conduttanza mutua", con l'aggettivo "mutua" usato nello stesso modo in cui viene usato in "induttanza mutua", ovvero proprio per indicare il controllo dei portatori di carica attraverso un campo - elettrico nel primo caso e magnetico nel secondo) è proprio il parametro che caratterizza quantitativamente l'aspetto "generatore di corrente" dei dispositivi attivi che, nei circuiti equivalenti, viene rappresentato come tale. Nei calcoli che definiscono l'amplificazione di uno stadio basato su un qualunque tripode attivo, "gm" forma, con l'impedenza di uscita del circuito, la coppia di parametri cruciali che, moltiplicati tra loro, forniscono proprio il guadagno in tensione di quel circuito.
Se il generatore di corrente fosse realmente e integralmente tale, sarebbe teoricamente possibile ottenere guadagni in tensione elevatissimi (al limite infiniti) da un solo dispositivo. In pratica ciò è reso impossibile da varie forme di retroazione interne che, pur "parassite" e di ridotto valore, pongono un tetto ineludibile al guadagno massimo estraibile da un unico dispositivo che se da un lato gli impedisce di divenire una sorta di equivalente elettronico della macchina del moto perpetuo, dall'altro lo rendono però un disponsitivo realmente utilizzabile in pratica, cosa che in effetti un dispostivo "ideale" non è affatto.
Sebbene ciascun tripode particolare (triodo, FET, bipolare, MOS...) abbia i suoi specifici meccanismi che gli precludono la strada del diventare "ideale", tutti quanti convergono in ogni caso verso un effetto comune, precisamente il diminuire in vario grado e misura del rapporto unilaterale di controllo tra ingresso e uscita, che tende a deteriorarsi in maniera sempre più marcata al crescere della frequenza di lavoro dei vari dispositivi.

I circuiti base dei tripodi – I transistori bipolari

Per comprendere meglio i dettagli dell'intera situazione esamineremo ora i circuiti equivalenti dei transistori bipolari che faranno, con le opportune variazioni, da riferimento anche per quelli degli altri dispositivi attivi. Nella figura sottostante sono disegnati i circuiti equivalenti delle tre classiche connessioni dei bipolari - emettitore, collettore e base comune - arrangiate in modo tale da sottolineare la topologia circuitale interna comune a tutte e tre le connessioni, decisamente più utili di quelle tradizionali e in grado di evidenziare che, mentre le relazioni tra il transistor e il resto del circuito possono in apparenza venire sconvolte dal cambio di connessione, in realtà dal punto di vista "interno" del transistor le cose continuano a funzionare sempre nello stesso modo, seguendo sempre le stesse relazioni gerarchiche interne, soprattutto quelle fondamentali tra il circuito di ingresso intrinseco del transistore (la giunzione base-emettitore, che è comunque SEMPRE inclusa nel circuito di ingresso quale che sia la connessione adottata) e il canale conduttivo (compreso nella coppia di terminali collettore-emettitore, anch'essa SEMPRE incllusa nel circuito di uscita, indipendentemente dalla connessione del circuito).

Il circuito della connessione ad emettitore comune, rappresentata nella parte "b" del disegno, oltre ad essere il più diffuso è anche quello piiù utile per proseguire il discorso. Esso include pure la resistenza di degenerazione RE sull'emettitore che ci permetterà più avanti di trattare entrambi i casi, con e senza degenerazione, come varianti di un unico circuito).

I circuiti equivalenti di un dispositivo attivo, essendo null'altro che modelli matematiici, sono per loro stessa natura circuiti da non prendere troppo alla lettera; questo significa ad esempio che dove troviamo una resistenza questa va intesa come un qualche cosa che, entro certi limiti (nell'analisi di piccolo segnale), si comporta come una resistenza pur non rimanendo più tale non appensa si passa dal "piccolo segnale" (una situazione ipotetica che permette di trattare analiticamente il circuito come se fosse lineare pur non essendolo affatto) al mondo dei segnali reali. Nel circuito che esamineremo gli unici componenti "reali", non linearizzati di comodo, sono quelli "esterni" al transistor, ovvero "RB", "RC" ed "RE" a cui si aggiunge la sorgente del segnale da amplificare, qui designata con "Vi". Tutti gli altri sono da intendersi come approssimazioni linearizzate di funzioni non lineari utili per farsi un'idea della situazione ma da non prendere troppo seriamente per progettare e dimensionare circuiti reali.

gm·Vbe - Questo pseudo generatore di corrente rappresenta, come già detto, la transconduttanza. La sua presenza è ciò che qualifica un dispositivo come "attivo", cioè in grado di controllare un flusso di corrente e imprimergli variazioni tali da renderla copia conforme del segnale di controllo.
Questo parametro, comunque lo si voglia chiamare e qualunque forma gli si voglia dare per facilitarsi i conti (se si vuole lo si può rappresentare anche come un generatore di tensione e con i triodi lo si è fatto per decenni), rappresenta UNA PROPRIETA' FISICA INTRINSECA del dispositivo attivo - la sua capacità di controllo di un canale conduttivo - e ne rappresenta una sua misura quantitativa. Salvo situazioni particolari, il suo andamento non è praticamente mai lineare e richiede sempre, per essere linearizzato, dei sostanziosi correttivi circuitali, il più efficace dei quali è spesso la connessione in controfase di due dispositivi identici (stadi differenziali e, con i triodi, i "totem" SRPP).

Rbc - Questa "resistenza" rappresenta la corrente inversa della giunzione base-collettore del transistori che, crescendo più o meno linearmente con la tensione applicata alla giunzione fin quasi ai limiti di rottura della stessa, può essere realmente intesa come se fosse una comune resistenza "ohmica" (cioè descrivibile dalla legge di Ohm senza necessità di tener conto di non linearità estranee ad essa ) purché non ci si dimentichi che il suo valore è fortemente dipendente dalla temperatura di lavoro del transistor, un problema peraltro comune anche a tutti gli altri parametri che definiscono nel loro insieme le caratteristiche di un bipolare, che da questo punto di vista tendono ad essere tanto più delicati quanto sono veloci e pregiati, come i planari che, pur ottimi in molte applicazioni, si sono sempre rivelati disastrosamente delicati ogni volta che si è cercato di produrne delle versioni di potenza che conservassero le stesse virtù "velocistiche" di quelli correntemente usati fino agli stadi pilota dei finali (come i BD137-138 e varianti al seguito)i.
Nei circuiti di segnale Rbc riveste un'importanza notevole soprattutto per il fatto che, definendo il parametro Hre, definisce anche il massimo guadagno intrinseco ottenibile da un dato transistor.

Rbe - Questa è la resistenza più "falsa" di tutto il circuito equivalente. Quello che rappresenta realmente, in forma indiretta, è il guadagno di corrente (detto hfe o beta) del transistor: infatti non è altro che l'inverso di gm (ovvero la "Re" a cui abbiamo già accennato), moltiplicato per il beta del transistor. Essa è lineare quanto lo sono "Re" (cioè molto poco...) e il beta, con quest'ultimo che, a condizione di lavorare lontano dai limiti di corrente massimi e minimi dei transistor (condizione quasi sempre osservata nei circuiti di segnale e di piccola potenza), si può comunque considerare di valore ragionevolmente costante.

Il beta di per sé non è  un parametro su cui far gran conto a causa sia della sua sensibilità alla temperatura di lavoro del transistor sia della sua ampia variabilità legata alle tolleranze costruttive dei transistori; tuttavia, una volta assicuratisi che non scenda al di sotto di un minimo (sempre indicato nei datasheet), esso si può tranquillamente considerare un parametro "tranquillo" e, con le dovute precauzioni circuitali, poco influente sulle prestazioni dei transistori.

Cbc e Cbe - Questi due "condensatori" sono, ancor più della Rbe, i migliori candidati al premio "faccia di bronzo" di tutto il circuito equivalente. Essi non rappresentano affatto dei condensatori ma puri e semplici accumuli di cariche elettriche che, trasformando le giunzioni in pseudo condensatori, le rendono, se non opportunamente neutralizzate, dei feroci intermodulatori, soprattutto ad alta frequenza. La ragione di ciò sta nel fatto tali accumuli sono praticamente costanti con la tensione applicata alle giunzioni  e rappresentano in pratica la versione capacitiva dei generatori di corrente: anziché generare una corrente costante rappresentano una carica costante che, lasciata a fare il "condensatore", ne fanno in realtà un condensatore variabile con la tensione, cioè un qualcosa che pur avendo la sua utilità in radiotecnica (è il meccanismo che rende possibili i varicap e la sintonia elettronica), con i condensatori propriamente detti non ha nulla a che fare.
Questi "condensatori" sono anche responsabili dei limiti in frequenza del dispositivo ma soprattutto dei suoi tempi di commutazione che, negli stadi di uscita in classe B o AB, definiscono limiti di frequenza massima drasticamente più bassi di quanto lascerebbero pensare i valori di FT (transition frequency, la frequenza a cui un transistor connesso ad emettitore comune cessa di avere un guadagno in corrente), che solitamente si possono ritenere validi solo nei pochi casi in cui gli stadi finali lavorano realmente in classe A; in tutti gli altri casi vanno, nella migliore delle ipotesi, "ridotte" ad un quinto del valore dichiarato nei datasheet.

Rbb - Questa resistenza di piccolo valore è, nonostante i suoi limiti, la sua scarsa linearità e la forte dipendenza dalla temperatura, proprio ciò che dice di essere: una resistenza. Precisamente è la resistenza esistente tra il reoforo di base e le facce attive delle due giunzioni che la base forma con il collettore e l'emettitore del transistor.
Essendo poco più che un componente parassita, il peso che riveste nel circuito è di solito trascurabile senza troppi pensieri. Nonostante questo, essa gioca un ruolo di "rifinitura" delle caratteristiche del transistor che è tutt'altro che secondario e che in alcuni casi può portare a delle sorprese. In primo luogo, a bassa frequenza, esso fissa il fondo minimo di rumore termico proprio del transistor. In secondo luogo definisce, assieme ai "condensatori" Cbc e Cbe, i massimi limiti di frequenza del dispositivo e i suoi tempi minimi e irriducibili di commutazione. Infine contribuisce anche a definire il minimo tasso di retroazione interna hre del transistor, irriducibile anche pilotando il transistor con un generatore di tensione ideale. Di questi tre punti, per quanto riguarda i circuiti audio, il più importante è il primo.

Rce - Questa "resistenza", abbastanza credibile dal punto di vista fenomenologico, in realtà è insieme a Rbe il componente più astratto dell'intero circuito e rappresenta in esso un fenomeno peculiare dei transistori bipolari che, nei finali di potenza è in realtà il precursore di un fenomeno distruttivo noto come valanga secondaria (second breakdown): l'effetto Early.
Questo effetto è dovuto ad una dipendenza del beta del transistor dalla tensione di collettore e dalla corrente di collettore del transistor stesso che ne incrementa linearmente il valore all'aumentare di queste grandezze. Dal punto di vista grafico delle caratteristiche di uscita, il fenomeno è responsabile dell'aprirsi a ventaglio delle curve al crescere della tensione e della corrente di collettore, dando alle stesse l'apparenza di un mazzo di rette originantesi da un unico punto situato nel semipiano negativo delle tensioni di collettore, che corrisponde ad una tensione fittizia - detta appunto "tensione di Early" (*). Per ogni dato punto di lavoro tensione/corrente del collettore, la Rce non è altro che la retta che collega quel punto all'origine dell'intero mazzo di caratteristiche e definisce, al netto dell'influenza della retroazione interna al dispositivo, il massimo guadagno in tensione intrinsecamente ottenibile in quel punto (pari a Av = gm·Rce). Se la tensione di Early è nota, allora


La Rce può anche essere ricavata dai parametri ibridi un tempo quasi sempre (e oggi purtroppo quasi mai...) forniti dai costruttori di transistori, soprattutto per i di segnale. Per far questo si parte dal fatto che hoe è in realtà la somma due parti che rappresentano il contributo di Rce e quello dovuto alla retroazione interna hre:


da cui è possibile risalire direttamente a Rce:



I parametri «h» dei transistori bipolari

Per buona parte dei transistori di segnale un tempo venivano compilati nei datasheet dei costruttori, e per un punto di lavoro tipico - convenzionalmente fissato a 5 volt di Vce e a 2 mA di corrente di collettore Ice - da cui, con l'aiuto di qualche grafico, pratica e buon senso, si poteva estrapolare tutti i componenti necessari a costruire il circuito equivalente dei transistori a cui, quando serviva, occorreva solo aggiungere la capacità base-collettore e quella collettore-emettitore (mentre non era da tener gran conto quella base-emettitore in quanto veniva specificata in condizioni di polarizzazioni inversa e quindinon pertinente ad un transistor che lavori in regione attiva. Di questi parametri, rintracciabili ancora, almeno in parte, attraverso siti come datasheet-archive e simili, è opportuno avere almeno una conoscenza sommaria dei loro significati.

hie - Impedenza di ingresso tra base ed emettitore, di valore praticamente coincidente (solo un po' minore) con quello di Rbe e per cui valgono le stesse considerazioni fatte in precedenza. Ad Rbe è legato dalla relazione


che è solo un altro modo per dire che hie è la risultante del parallelo tra Rbc ed Rbe. A stretto rigore andrebbe conteggiato anche il contributo di Rbb che però riveste per la maggior parte delle situazioni un interesse puramente accademico. Il suo valore, quando non è dichiarato esplicitamente, può in alcuni casi (cioè quando vengono fornite) essere ricavato dalle curve di rumore costante: seguendo la curva data per la cifra di rumore (NF) di -3 dB, si rintraccia il punto corrispondente all'impedenza di generatore più bassa possibile che, con buona approssimazione, coinciderà con il valore di Rbb cercato.

hfe - Guadagno di corrente o beta, è un numero puro che a tutti gli effetti pratici costituisce soltanto un indice di qualità del componente. A causa della sua inaffidabilità in assenza di una specifica opera di selezione, in sede di progetto non viene quasi mai tenuto in alcun conto, se non per il valore minimo garantito dai costruttori - i quali forniscono transistori suddivisi per fasce di variabilità del beta, contrassegnate da lettere, numeri o anche colori: quelli dotati di beta più alto sono solitamente anche i più delicati mentre, a parità di altre caratteristiche, transistori con beta più basso sono in linea di massima più robusti e in grado di reggere meglio tensioni di lavoro più elevate.

hre - Indice di retroazione interno - espresso da un numero puro, è in assoluto, dopo la transconduttanza, il parametro più importante nel definire le reali capacità e i limiti del transistor preso in considerazione qualora venga usato come amplificatore. Tale parametro, usato come divisore di Hie, permette di risalire al valore di Rbc, cioè al cuore della retroazione interna al dispositivo. In formula:


Questa equazione, insieme a quella fornita prima per trovare Rbe, fa comprendere che in realtà hre non è altro che il coefficiente che si ottiene applicando il teorema di Thevenin al partitore composto da Rbc ed Rbe:


hoe - Conduttanza di uscita del transistore connesso a emettitore comune - cioè l'inverso della sua impedenza di uscita. E' un'entità composta da due parti: l'inverso di Rce, di cui abbiamo discusso qualche paragrafo sopra, e da gm·Hre, l'effetto della retroazione interna al transistor che si manifesta, rispetto all'uscita, come una conduttanza aggiuntiva che ne abbassa l'impedenza interna totale e quindi anche il massimo guadagno ottenibile dal transistor qualora fosse caricato da un generatore di corrente ideale.

gm - Questo parametro, nel caso dei transistor bipolari, non viene fornito in nessun datasheet (e adesso diremo perchè) ma è il primo che va specificato per poterne delinare le condizioni di lavoro e i guadagni. Esso, a parità di corrente di collettore e di temperatura di lavoro del transistor è identico per tutti i transistori, quale che sia la loro dimensione: grandi come la punta di uno spillo o grossi come un sapone da bucato, il valore di gm è sempre lo stesso per tutti e dipende unicamente dalla corrente di collettore e dalla temperatura di lavoro del transistore. La relazione che lega la transconduttanza alla corrente di collettore vale:


dove:

Ic = corrente di collettore
q  = carica dell'elettrone pari a 
k  = costante di Bolzmann pari a 

T  = temperatura assoluta in gradi Kelvin (gradi centigradi + 273.16 °K)

Il termine q/kT corrisponde al reciproco di una tensione (detta tensione termica, perché rappresenta, espressa come tensione elettrica, la velocità media dei portatori di carica a una data temperatura del materiale conduttore - o semiconduttore - in cui si muovono) che viene convenzonalmente assunta come pari a 26 mV, corrispondenti ad una temperatura ambiente assoluta di 302 °K, (28.6 °C) (**)

(fine prima parte)

(*) Questa "tensione" è solo un artificio tecnico per modellare fenomenologcicamente in maniera approssimata ma plausibile l'effetto Early; di per sé non ha alcuna esistenza concreta in quanto la vera causa dell'effetto Early è in realtà la tensione base collettore Vcb.

(**) Quando occorre conoscere il valore del termine kT/q a temperature diverse da quella convenzionale vista sopra, è sufficiente ricordare che tale termne varia di circa 0.862 millivolt ogni 10 gradi di variazione di temperatura del materiale. Questo peraltro ci consente di calcolare la transconduttanza per temperature di giunzione più realistiche dei 25 °C dichiarate nei datasheet: assumendo che un transistor di segnale lavori plausibilemente ad una temperatura di giunzione di 80 °C (353 °K), la sua tensione termica kT/q è ormai superiore ai 30 mV, a cui corrisponde una transconduttanza effettiva proporzionalmente minore (quasi del 20 per cento) rispetto a quella calcolata prendendo per buona la tensione termica convenzionale di 26 mV.

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