martedì 15 settembre 2009

"Ricetta " per un finale audio - III - Dal driver al VAS

Terza parte dell'articolo sulla progettazione di un finale audio sui generis. Qui trovate la prima parte e la seconda parte del testo.

Scegliere i driver per lo stadio finale.

Una volta dimensionato lo stadio di uscita e il suo alimentatore si può ben affermare di essere a metà dell'opera! Quanto meno la parte riguardante il "braccio" che provvede alla forza bruta dell'amplificatore è sistemata. Resta però ancora da affrontare e sistemare la parte che riguarda la "mente" dell'amplificatore, ovvero il suo amplificatore di tensione. E la "mente" interagisce con il "braccio" attraverso i driver che, per il loro modo di funzionare, sono allo stesso tempo lo stadio di uscita dell'amplificatore in tensione (il VAS) e il buffer di ingresso dello stadio finale vero e proprio. Detto in altro modo, la peculiarità dello stadio driver è quello di essere contemporaneamente uno stadio di piccola potenza (ma alle volte neanche troppo) e uno stadio di segnale, almeno sotto il profilo della linearità.

Nel nostro caso il driver è chiamato a erogare, alla massima corrente di uscita dell'amplificatore, circa 150 mA su oltre 40 Volt di picco. Poichè in questo caso stiamo usando finali molto lineari, possiamo considerare i driver come pilotanti un carico riflesso altrettanto lineare, pari grosso modo a 270 Ohm.
La potenza che i nostri driver devono dissipare in queste circostanze si può calcolare pari a quella che dissiperebbe un finalino che dovesse pilotare, con la stessa tensione di uscita, un carico dello stesso valore, che è pari a 1,5 Watt. Non è molto e, scegliendo opportunamente i tipi tra quelli che possono dissipare tale potenza in aria libera, potremmo anche fare a meno di montarli su un dissipatore. Prima di decidere in merito diamo un'occhiata a cosa passa il convento, anche tenendo conto che i driver devono sopportare senza batter ciglio 80-85 Volt di Vce, cosa che ci obbliga a scegliere transistori con ALMENO 100 Volt di Vceo. Se si trovano da 120 Volt è meglio.

Disgraziatamente per noi l'offerta del "convento", rispetto a quello che ci serve, non è delle più generose: se fino alla Vceo di 80 Volt non vi è che l'imbarazzo della scelta anche tra produttori diversi, a 100 volt l'offerta si riduce drasticamente e oltre, fatta eccezione per alcuni produttori, è praticamente terra di nessuno almeno fino a tensioni superiori ai 200 Volt, dove cominciano a farsi vivi alcuni tipi di transistor pensati per gli stadi di pilotaggio video dei cinescopi che, in mancanza di meglio, si possono "riciclare" in un circuito audio - almeno fin quando esisteranno sul mercato: già oggi si utilizzano appositi circuiti integrati video che, anche per un genere sulla via del tramonto come i cinescopi, hanno pure qui reso da tempo obsolete quasi tutte le circuitazioni discrete, i cui componenti vengono ora prodotti essenzialmente come ricambi per televisori e monitor ancor più obsoleti di loro!

I produttori oggi utilmente consultabili per reperire dati utili sui transistor utilizzabili nei circuiti audio - che non si riducano agli ormai imperanti SMD - sono rimasti veramente in pochi: ONSEMI, Fairchild, Toshiba, Sanken e Sanyo. NXP (ex Philips), ST MIcroelectronics, National semiconductors e altri nomi europei, statunitensi e giapponesi un tempo noti come produttori di una ricchissima gamma di transistori discreti, oggi producono quasi esclusivamente componenti SMD e circuiti integrati, i più richiesti e smerciabili a livello industriale ma certamente non i più pratici per gli hobbisti (che ormai, a ogni latitudine, o si reinventano in chiave "high-tech" con tanto di stazioni saldanti, oppure si devono arrangiare come possono cercando di non incappare in truffe e fregature di vario tipo).
La maggior parte dei semiconduttori discreti che portano il loro marchio sono in effetti prodotti da terzi (perlopiù in Asia) e opportunamente rimarcati e rivenduti. Questo d'altronde vale anche per Fairchild e Onsemi, i cui tranistori migliori sono in realtà prodotti su licenza Toshiba (che nei decenni scorsi ha attuato una politica molto attiva di piazzamento delle proprie tecnologie sotto forma di licenze).

Dal nostro punto di vista, quando ci si trovi di fronte a componenti prodotti su licenza, è opportuno rifornirsi dal licenziatario per l'ottima ragione che in genere è meno esposto al fenomeno dei falsi e dei tarocchi. Nel nostro caso utilizzeremo come driver (ma non solo come driver come vedremo dopo) una coppia complementare prodotta da Fairchild (la KSC2690A-KSA1220A) corrispondente all'analoga 2SC2690A-2SA1220A, un tempo prodotta dalla giapponese NEC.

Questa coppia è per costruzione una vera e propria coppia di "minifinali" adattissima a fungere da driver. Essa è tecnologicamente affine ai finali che abbiamo scelto per lo stadio di uscita ed è, come loro, molto lineare rispetto alle escursioni della corrente di collettore. In molti aspetti sono versioni realmente irrobustite e migliorate dei sempreverdi BD137-BD138 e pertanto, nel nostro circuito li tratteremo grosso modo come tali. Inoltre, grazie ad essi, avremo anche la possibilità di esaminare e mettere in pratica uno dei modi più "antichi" (e nonostante tutto tra i migliori) per mettere d'accordo transistori di segnale ad alte prestazioni e basse tensioni di lavoro con appunto le ALTE tensioni di lavoro tipiche degli amplificatori a stato solido più potenti, ovvero utilizzare i circuiti cascode in una delle non molte situazioni in cui tornano realmente utili.

Naturalmente i transistori scelti non sono gli unici disponibili presso i produttori giapponesi; tuttavia, proprio perchè prodotti su licenza, sono quelli più facilmente reperibili sul mercato internazionale. Purtroppo buona parte dei semiconduttori discreti prodotti dalle industrie giapponesi sono, come precisa forma di protezionismo "occulto", prodotti solo per il mercato interno e venduta solo alle aziende consumer nazionali (le quali possono così, in linea di massima, controllare il mercato dei ricambi e delle riparazioni, soprattutto se vendono i loro prodotti all'estero: semplicemente i componenti che usano se non li trovi presso i loro centri assistenza, non li trovi praticamente da nessuna parte!). Un indizio buono ma non necessariamente sufficiente a indicare lo status "solo nazionale" o "internazionale" di un componente è la disponibilità o meno di datasheet in inglese accanto a quelli in giapponesi; se non esistono il componente è quasi sicuramente destinato al solo mercato interno e pertanto da considerarsi "irreperibile" al di fuori del Giappone o della sua sfera di influenza economica diretta.

Rispetto alle possibili connessione tra drivers e finali di cui abbiamo discusso nella prima parte, non vi sarebbero, data la linearità del guadgagno in corrente di entrambi, grossi problemi di interfaccia con il VAS. Se qui andremo a scegliere la configurazione che al tempo abbiamo denominato "C" è per una sola valida ragione: confinare ai soli transistor finali l'eventualità che si verifichino distorsioni significative al passaggio per lo zero, evitando al resto del circuito ogni possibilità di interdirsi.

I driver scelti permettono di dissipare, con radiatori individuali di piccolo ingombro, circa 4-5 Watt ciascuno con ampio margine di sicurezza, valore che ci permette di dimensionare la loro corrente di riposo con una certa larghezza di manica: 60 mA a riposo per ciascun driver, a cui corrisponde, sempre a riposo, una dissipazione di circa 2-3 Watt. Con 10 Ampere di picco di uscita alla massima potenza, ciascun driver si ritroverà erogare circa 250 mA di picco e a dissipare 3-4 Watt mentre a livello di funzionamento più sobri e normali la sua dissipazione si attesterà attorno ai 3 Watt, assicurando così che i drivers si trovino a lavorare a disipazione e temperatura costante, una situazione che ci permetterà di escluderli dal computo dei transistor di cui va inseguita la variazione di Vbe dovuta alla temperatura. Questo perchè, essendo polarizzati da una propria resistenza di carico (680 Ohm, 5 Watt) che connette i loro emettitori al ramo di alimentazione opposto a quello che ne alimenta i loro collettori, di fatto lavorano a corrente costante.

In pratica dal computo ne escluderemo soltanto uno; l'intervento "superfluo" dell'altro ci servirà come sovracompensazione che ci aiuterà così a DIMINUIRE al crescere della temperatura la corrente di bias dei finali e ad assicurarne maggiormente la loro integrità alla massima potenza di lavoro. Nell'illustrazione che segue si può vedere l'arrangiamento dei driver con le loro resistenze di carico e il moltiplicatore di Vbe con il "trucco" che consente di "saltare" il controllo termico di una giunzione. La tensione duale di 42+42 Volt, anche se può essere la stessa utilizzata per alimentare i finali, sarebbe da preferire prodotta da un raddrizzatore separato da quello dei finali, con dei propri condensatori di livellamento, in modo da isolare tra loro i due assorbimenti di corrente. Volendo e potendo spendere, sarebbe addirittura consigliabile iniziare la stabilizzazione delle alimentazioni già a partire da quella qui destinata ai drivers.

L'espediente è... evidente! :-) Si tratta del diodo 1N4148 che, mentre contribuisce alla polarizzazione dello stadio finale con la caduta in tensione diretta della sua giunzione, NON rientra tra le cadute controllate dal transistor usato come sensore (in questo caso un altro KSC2690A). Quest'ultimo, montato sul dissipatore dei finali, controllando non due ma tre Vbe, sovracompensa la loro riduzione che avviene nei finali.
Questa sovracompensazione è dovuta interamente al fatto che i transistori che restano stabili una volta raggiunta la loro temperatura di lavoro (i drivers) sono due e non uno solo mentre appunto la VBE "saltata" è una sola. In pratica il transistore sensore compensando anche per un transistor che non necessita di alcun tracking termico consente di usare tale eccesso per mantenere più strettamente "al guinzaglio" la corrente di riposo dei finali.
Il rovescio della medaglia di questo arrangiamento è che richiede, la prima volta, un congruo tempo di taratura (almeno una mezz'ora di riscaldamento e di funzionamento a volume d'ascolto un po' deciso) allo scopo di "riportare indietro" la corrente di riposo dei finali fissata all'avvio che, via via che i piloti si portano alla temperatura di lavoro, tende ad aumentare. In questa fase non funziona ovviamente alcun genere di sovracompensazione, anzi. Quando però l'amplificatore è andato termicamente a regime, entra pienamente in gioco la dinamica di sovracompensazione delle escursioni termiche dei finali. Da questo momento in poi il problema all'avvio sarà esattamente di segno opposto, ovvero occorrerà attendere almeno un quarto d'ora prima che la corrente di riposo dei finali raggiunga il suo valore nominale, garantendo così una riproduzione priva di distorsione di incrocio.

Il VAS - Voltage Amplifier Stage

E finalmente ci siamo arrivati. Esaurito il nostro tour de force sullo stadio finale, il suo alimentatore e il suo stadio driver, possiamo ora dare la "scalata" ai problemi che riguardano il vero e proprio cuore di un moderno amplificatore a stato solido: sua maestà il VAS! :-).

La prima cosa da chiedersi prima di fare qualsiasi cosa circa il VAS è: su che carico deve lavorare? O meglio, su che carico LO FA lavorare lo stadio finale che lo segue? Nel nostro caso la situazione è definita come segue: i transistori finali, con il carico minimo previsto prima di far intervenire le protezioni (3 Ohm), fanno vedere ai piloti un carico riflesso che è almeno pari a 220 Ohm, a cui gli stessi piloti aggiungono in parallelo le loro resistenze di carico e polarizzazione (680 Ohm per ciascuno, che vanno considerate a loro volta in parallelo dimezzando il loro valore effettivamente visto dal VAS attraverso il beta dei piloti). Il risultato è un bel 133 Ohm, che andrà moltiplicato per il beta dei piloti per ottenere quindi, finalmente, il carico di lavoro effettivamente visto dal VAS. E poiché i nostri piloti possono essere scelti, rispetto alla gamma di correnti in cui devono lavorare, con un beta minimo garantito di 150, il carico risultante presentato al VAS risulterà pari ad almeno 20 kOhm, che, con il tipo di buffer d'uscita a "doppietta" che abbiamo utilizzato. rappresenta un carico di lavoro nella norma.
Inoltre, con questo beta minimo, sappiamo che la massima corrente richiesta al VAS dalle basi dei piloti sarà al più attorno ai 3-4 mA alla massima corrente di uscita del finale, mentre in assenza di segnale, a causa del particolare arrangiamento dei piloti, se ne starà tranquilla tra 0.5 e 1 mA, una corrente piuttosto sostenuta ma che qui ci torna utile nello stabilizzare l'escursione in corrente a carico del VAS, cioè la causa numero uno della distorsione di questo stadio.

Il ruolo, le prestazioni e i limiti del VAS

Al punto in cui siamo, se possiamo dire di avere tutte le informazioni su "cosa" e su "dove" lavora lo stadio VAS, non possediamo però ancora nessuna definizione chiaramente definita sul CHE COSA fargli fare e sul COME farglielo fare. Ed è proprio questo il tema che svilupperemo nei paragrafi che seguono.
La prima funzione che un VAS deve onorare per tener fede al proprio nome è naturalmente amplificare in tensione il segnale che vogliamo dare in pasto agli altoparlanti. Oltre a questo esso deve pure produrre la gran parte del guadagno ad anello aperto che destineremo successivamente alla controreazione dell'intero sistema. Ed è proprio su questo punto che occorre fare delle scelte che si possono considerare scontate solo adottando un approccio che definire "superficiale" è già un complimento.
Questo perchè in realtà un VAS può essere realizzato secondo tre impostazioni principali differenti (più le loro varianti), ciascuna con i suoi pro e i suoi contro da valutare con il respiro che merita. Esse sono: 1) VAS impostato come un generatore di corrente intrinseco; 2) VAS impostato come un generatore di tensione il più possibile "ideale" rispetto allo stadio di uscita da pilotare; 3) VAS impostato come un generatore di tensione avente una propria impedenza di uscita prefissata in sede di progetto.

1) VAS impostato a generatore di corrente intrinseco - Questo tipo di arrangiamento, detto "amplificatore a transconduttanza", è quello più universalmente usato perchè in grado di assicurare con poco sforzo alti o anche altissimi guadagni ad anello aperto: con un semplice stadio ad emettitore comune curato senza esagerazioni si raggiungono tranquillamente i 60 dB di guadagno; curato a puntino si arriva anche a 80 dB. Questi valori sono la materia prima grezza su cui viene dimensionato un amplificatore retroazionato ed è quindi comprensibile che si cerchi di massimizzarne la quantità ottenibile dal singolo stadio.

In un circuito a componenti discreti, i dispositivi dotati di maggior transconduttanza in rapporto alle loro correnti di lavoro sono, ancora oggi incontrastati, i transistori bipolari ed è pertanto a questi che si ricorre sempre ogni volta che occorre "gonfiare" il serbatoio della riserva di guadagno ad anello aperto: il suo guadagno in tensione, secondo le regole ricavabili dal tutorial sull'amplificazione presente nel blog, è definito dalla transconduttanza del singolo stadio (dipendente dalla sua corrente di lavoro), dalla sua impedenza d'uscita e dal carico presentato a questa stessa uscita dall'ingresso dello stadio finale. Questi ultimi due termini vanno considerati in parallelo tra loro e calcolati di conseguenza; ad essi, nei circuiti reali, va aggiunto in parallelo il contributo di impedenza dovuto alla rete che polarizza l'uscita del VAS, che può essere un generatore di corrente o, nei circuti più "anziani", una rete di bootstrap (vedi sempre il tutorial nel blog per i dettagli).

Di questo tipo di VAS esistono sostanzialmente tre varianti principali: 1) quella più comune che fa uso di un singolo transistor di segnale opportunamente caricato, largamente utilizzata in due sub varianti, semplice e a cascode; 2) quella che utilizza al posto di un unico transistor in single ended un doppio VAS complementare pilotato a sua volta da un doppio stadio di ingresso (solitamente un differenziale ma non è una scelta obbligata); 3) Il VAS differenziale noto come VAS "Hitachi" perchè utilizzato per la prima volta nel 1975 proprio da questa casa come stadio amplificatore e driver di alcuni dei primi finali impieganti MOSFET di potenza nel loro stadio di uscita. Questo tipo di VAS è oggi largamente utilizzato anche in amplificatori di potenza a bipolari.
Questi tre tipi di VAS sono esemplificati nella figura soprastante in una delle due polarità possibili (l'altra è topologicamente identica, essendo l'unico cambiamento posto in essere quello della polarità del transistor e delle alimentazione oltre che, naturalmente, il verso di montaggio degli eventuali diodi). In "E" inoltre è raffigurata una configurazione che, pur graficamente simile alla Hitachi illustrata in "D", in realtà rappresenta un'ulteriore tipo di VAS che, anzichè costituire uno stadio differenziale automono, rappresenta in realtà un "proseguimento" dello stadio differenziale già presente in ingresso. che, rispetto al primo, oltre a limitare il massimo guadagno ad anello a valori più gestibili e sicuri dal punto di della stabilità del circuito, consente di definire più rigorosamente le correnti circolanti nel VAS stesso.

1) Il VAS tipo "A" è in assoluto il più impiegato negli amplificatori audio e di bassa frequenza, almeno fin da quando ha preso piede lo schema di H.C. Lin (il cui tratto distintivo è proprio il "totem" che formano i dispositivi di uscita posti in serie tra le linee di alimentazione): costa poco, genera con i transistor bipolari un buon guadagno in tensione, è di compensazione semplice e, a patto che sia adeguatamente polarizzato, per gran parte della sua escursione in tensione ha una linearità molto buona. Il suo unico vero limite, aggirabile solo con l'impiego del circuito cascode illustrato in "B", è il suo essere soggetto, al crescere delle correnti di lavoro, a un marcato effetto Early che in pratica riduce drasticamente la sua impedenza di uscita riducendo di conseguenza anche il massimo guadagno di tensione disponibile per la retroazione. Da questo punto di vista tale stadio rimane raccomandabile finchè le sue correnti di collettore restano comprese, a riposo, entro un massimo di 5-10 mA. Allorchè ci si approssima o si supera il limite dei 10 mA vanno presi adeguati provvedimenti per sostenere l'impedenza d'uscita dello stadio, che possono consistere nell'adozione di una resistenza di emettitore non bypassata di valore adeguato o nel passaggio alla configurazione cascode.
Nel primo caso si ottiene comunque una riduzione di guadagno in quanto, se aumenta l'impedenza di uscita del VAS, è però anche vero che diminuisce la trasconduttanza complessiva dello stadio. Tuttavia, se non interessa ottenere un guadagno di anello troppo spinto (ad esempio perché si dispone di un'alimentazione stabilizzata che lo rende superfluo), la degenerazione di emettitore rimane una pratica caldamente consigliata non fosse che per la ragione che, se da un lato diminuisce il massimo guadagno disponibile, dall'altro comunque linearizza il comportamento dello stadio sia dal punto di vista della transconduttanza che dell'impedenza di uscita, che diviene allo stesso tempo più elevata e più stabile.

2) La configurazione a cascode "B" del VAS, nonostante dia "prestigio" al circuito, nella maggioranza dei casi serve a ben poco; di fatto nel VAS offre solo due vantaggi: 1) la possibilità di poter realizzare un "supertransistor" che combini le caratteristiche di sensibilità dei transistori di segnale (solitamente con tensione massima di lavoro inferiore ai 30-40 Volt) rispetto all'ingresso con quelli di robustezza in tensione di lavoro e dissipazione rispetto all'uscita proprie di buoni transistor di media potenza; 2) la forte unilateralizzazione dell'ingresso rispetto all'uscita (dovuta alla soppressione di fatto del parametro interno "Hre"), che permette di gestire le caratteristiche di emtrambi separatamente, al riparo dalle influenze reciproche che sono invece tipiche degli stadi che usano transistori singoli. Un terzo vantaggio conseguente da questo è la possibilità di sostituire la retroazione interna al transistor (mediata dal parametro "Hre") con una retroazione esterna di caratteristiche perfettamente definite e note e soprattutto utilizzanti resistenze e capacità vere e proprie che si comportino linearmente per l'intera escursione della tensione di uscita del VAS e non, come succede di solito, solo per una parte di essa.

Nella maggiora parte dei circuiti, il VAS di tipo "A" o "B" sono preceduti da un buffer in corrente che, in cascata tra loro, possono formare una coppia darlington (se della stessa polarità) o una coppia che in mancanza di meglio possiamo chiamare "paradarlington", costituita da una cascata di inseguitori di emettitori aventi polarità complementare tra loro (vedi figura sottostante).
Contrariamente a quello che si può essere indotti a pensare, la funzione principale di queste due varianti di buffer di corrente NON è quello di aumentare il guadagno in corrente dell'ingresso del VAS (che è giusto un "effetto collaterale" del loro inserimento) ma realizzare due distinti tipi di interfaccia con il circuito di uscita dello stadio di ingresso, dal comportamento nettamente differente tra loro.

Nel caso del circuito BUFF-1 (il più comune) il transistor che precede il VAS realizza due distinte funzioni: 1) rendere ininfluente, nel computo totale della capacità di compensazione (qui rappresentata dal condensatore che collega il collettore del VAS alla base dell'inseguitore che lo precede), il contributo della capacità interna base-collettore del VAS, a cui viene in questo modo impedito di aumentare la distorsione totale a causa della sua dipendenza intrinseca dalla tensione ai capi di questa stessa giunzione) 2) offire, qualora si usi uno stadio di ingresso differenziale, un offset di tensione sufficiente per il funzionamento lineare dello specchio di corrente che, posto sui collettori di uscita dello stesso, ne equalizza le correnti di riposo, minimizzando così il loro contributo alla distorsione totale dell'amplificatore (per i dettagli rimando alla lettura del libro di D. Self, "Audio Power Amplifiers", i cui capitoli pertinenti lo stadio d'ingresso trattano questo punto piuttosto approfonditamente).
In quest'ultimo caso però occorre porre attenzione al fatto che il VAS cessa di essere un amplificatore di transconduttanza per trasformarsi in un normale amplificatore di corrente - dal beta equivalente molto elevato, solitamente non inferiore alle 30-40 mila volte - che, amplificando dello stesso ordine di grandezza la transconduttanza - ora dominante - dello stadio di ingresso, genera un guadagno di anello enorme che va adeguamente ma soprattutto ROBUSTAMENTE compensato.
Il circuito è prevalentemente utilizzato negli amplificatori operazionali a bipolari, dove la bassa transconduttanza dello stadio di ingresso, dovuta alla correnti bassissime con cui viene fatto lavorare per garantire le correnti di bias minime possibili (solitamente una manciata di microampere), viene recuperata dal beta del darlington-VAS, che si comporta nei suoi confronti come un moltiplicatore, assicurando in questo modo un guadagno ad anello aperto anche molto consistente (i 100 dB prima dell'inizio dell'intervento delle compensazioni sono da molto tempo considerati uno standard minimo!).

Il circuito BUFF-2 ha in comune con il BUFF-1 soltanto la funzione di rendere indipendente la capacità di compensazione dai contributi non voluti dovuti alle capacità interne dei transistori. Il resto del suo funzionamento è invece completamente diverso. Se BUFF-1 si comporta come un moltiplicatore di trasconduttanza dello stadio di ingresso, BUFF-2 si comporta più come un ripetitore, rappresentando in un certo senso una sorta di specchio di corrente a rapporto variabile tra le correnti di ingresso e uscita anzichè fisso e unitario. Rispetto al caso precedente, lo stadio d'ingresso del sistema non solo viene maggiormente coinvolto nel controllo delle caratteristiche del VAS ma diventa a tutti gli effetti un vero e proprio "VAS remoto". Sotto questo aspetto, qualora si adottino nello stadio di ingresso dei FET, è uno dei pochi circuiti realmente in grado di conservare la loro influenza sulla timbrica complessiva dell'intero amplificatore.
Il suo pregio principale è quello di linearizzare l'amplificazione in tensione del VA compensando parte della non linearità propria della transconduttanza gm dei transistori. Il suo difetto principale è invece il fatto che il buffer funziona a tensioni di alimentazione bassissime (con una Vce costituita dalla Vbe del VAS, più la caduta di tensione presente sulla sua resistenza di emettitore) che rende piuttosto critica sia la scelta dei transistori da utilizzare (che devono essere a bassissima tensione di saturazione) sia le correnti di lavoro di questi, che vanno quasi sempre limitate a una frazione di milliampere.
Questo tipo di buffer viene utilizzato soprattutto in circuiti nei quali, per qualche motivo, si vuole ottenere sia un guadagno di tensione ad anello aperto relativamente contenuto (raramente si superano i 70 dB totali) sia una buona linearità intrinseca che consenta di godere i pregi di un tasso di retroazione più contenuto dell'usuale senza però accollarsene i difetti in termini di maggiore distorsione.

Una versione più spartana ma ugualmente efficace di BUFF-2 consiste nel... sopprimere il buffer e connettere, in serie alla resistenza di carico del collettore del transistor di ingresso, un transistor dello stesso tipo usato per il VAS ma collegato a diodo. A fronte dello svantaggio di dover utilizzare nello stadio di ingresso correnti più elevate di lavoro rispetto al caso precedente, vi è il vantaggio di eliminare la criticità di scelta del transistor da usare come buffer, conservando però la possibilità di sopprimere parte della non linearità della transconduttanza del VAS attraverso la sua compensazione a mezzo di una non linearità di pilotaggio complementare (quella del diodo). Quale che sia la scelta finale, il vantaggio comune a entrambe le varianti è quella di ridurre a una sola la fonte delle non linearità presente nel circuito di segnale dell'amplificatore: lo stadio d'ingresso, che a sua volta può essere ottimizzato nelle prestazioni con provvedimenti mirati che vedremo più avanti.

3) Il VAS tipo "C" è in effetti un DOPPIO VAS in cui i singoli transistor, di opposta polarità, pur essendo pilotati ciascuno da un proprio stadio di ingresso, condividono, grazie al loro funzionamento in controfase, un unico carico di lavoro. Questo circuito, stupendo sulla carta, lo è assai di meno nella realtà e in pratica sta in piedì non in virtù di un proprio equilibrio intrinseco ma unicamente grazie alla retroazione generale del circuito. Questa discrepanza tra teoria e pratica consegue direttamente dal fatto che raramente i transistori possono essere costruiti, selezionati ma soprattutto fatti funzionare in modo realmente complementare se non nell'ambito dei circuiti integrati monolitici - e anche in questo caso non tutte le tecnologie sono adatte.

In pratica l'unico reale vantaggio di questo tipo di VAS è l'autocompensazione delle distorsioni derivanti dalla non linearità della transconduttanza in rapporto alla corrente di collettore che permette di estendere la zona di comportamento lineare dello stadio all'intera escursione di tensioni e correnti richiestegli dal pilotaggio dei finali. In tal caso, specialmente in amplificatori di potenza molto elevata o che devono far fronte a carichi particolarmente onerosi, il VAS tende a conservare una relativa maggior uniformità e indipendenza delle sue distorsioni rispetto alle bizze del carico, consentendo anche, a parità di linearità complessiva, di lavorare con correnti di riposo inferiori.
Va però tenuto presente che, se migliora il comportamento complessivo delle distorsioni, in assoluto il loro valore migliora al più di un ordine di grandezza, fatto la cui convenienza va ben valutata, soprattutto tenendo conto che la base di partenza (la distorsione del VAS singolo) è in genere già molto buona per conto suo e che tale miglioramento implica il raddoppio secco dei componenti da utilizzare sia per il VAS che per lo stadio di ingresso che lo precede.

4) Tipo "D" - Il VAS differenziale "Hitachi" - Il principale pregio di questo tipo di VAS è quello di trasformare in maniera semplice, diretta e pulita un'ingresso differenziale in una uscita single ended senza perdita di guadagno. Pur essendo questa già una caratteristica propria degli stadi differenziali di ingresso con le uscite terninate e caricate da uno specchio di corrente, il VAS "Hitachi" ha in più, rispetto a questi, la possibilità di sfruttare quasi per intero l'escursione in tensione resa disponibile dall'alimentatore e non solo una parte di essa (solitamente la metà); una possibilità che è del resto cruciale nello stabilire l'idoneità di questo circuito a fungere, appunto, da VAS.
Rispetto al precedente circuito "complementare" questo VAS ha due pregi ben definiti: l'essere, nonostante le apparenze contrarie, un circuito REALMENTE simmetrico nel trattamento delle escursioni del segnale di uscita e il costituire organicamente, nel suo insieme, un UNICO circuito VAS anzichè essere un'accoppiata di due VAS sì cooperanti ma comunque strutturalmente separati tra loro. Di questi ultimi conserva peraltro la possibilità di avere, a parità di escursione del segnale in uscita, distorsioni più contenute

Il VAS "Hitachi" ha però, per contrasto, due problemi propri di cui solo uno relativamente aggirabile: quest'ultimo è il fatto che il suo guadagno intrinseco può, se non adeguatamente limitato sul nascere, divenire eccessivo rendendo problematica la compensazione dell'intero amplificatore. Il secondo problema non facilmente aggirabile è invece costituito dal fatto che i due segnali uscenti dai collettori del differenziale hanno percorsi temporalmente differenti: il lato invertente del differenziale tende a consegnare la sua parte di segnale all'uscita single ended IN ANTICIPO rispetto a quanto non faccia il lato non invertente: un anticipo che fa sentire la sua presenza tanto più marcatamente quanto più cresce la frequenza del segnale in transito - un problema che in pratica riguarda anche il doppio VAS complementare ma che qui opera in maniera molto più evidente (e pericolosa) proprio per via del fatto che il segnale consegnato dal lato non invertente deve attraversare uno stadio in più costituito dallo specchio di corrente indispensabile al coniugio dei due segnali in controfase del differenziale in un unico segnale in uscita dal single ended.
Questa differenza temporale di transito del segnale nei due rami del circuito può arrivare, se non attentamente compensata, a generare problemi di instabilità ad altissima frequenza NONOSTANTE l'applicazione al circuito complessivo di una compensazione a polo dominante che, normalmente efficace in un circuito a VAS singolo semplice, può venire qui compromessa dal fatto che il ritardo temporale aggiuntivo in uno dei due rami del segnale tende di fatto a ritardare anche l'azione della compensazione stessa, "decompensando" il VAS dove invece la compensazione è più indispensabile che mai - cioè proprio ad alta frequenza.

5) Tipo "E" - Il VAS "finto Hitachi" - Questo VAS, graficamente molto simile all'Hitachi, funziona in realtà su presupposti abbastanza diversi che vale la pena di illustrare. Esso in effetti è, per certi aspetti, più imparentato con il circuito del doppio VAS complementare che non con l'Hitachi da cui sembra essere derivato. Rispetto al doppio VAS complementare vi è di fatto una sola differenza sostanziale: l'essere l'estensione di UN SOLO stadio differenziale di ingresso anzichè di due, fatto che paradossalmente, in pratica, assicura un bilanciamento migliore e una più netta cancellazione delle distorsioni di ordine pari.
Dall'Hitachi originale questo circuito eredita il difetto della differente lunghezza temporale dei percorsi (che di fatto si comporta come una minuscola cella di ritardo) ma non quella di generare un eccesso ingestibile di guadagno ad anello aperto. Infatti mentre l'Hitachi è un vero e proprio stadio differenziale distinto da quello di ingresso, in questo circuito i due transistori sono soltanto un'estensione attiva delle uscite del differenziale di ingresso, il quale, oltre alla sua funzione propria di interfaccia tra segnale di ingresso e segnale di retroazione, svolge qui anche quella di vero e proprio "VAS remoto" la cui transconduttanza è la sola realmente "al comando" dell'intero circuito.

Il VAS concepito come generatore di tensione intrinseco.

Le cinque varianti di VAS viste prima sono tutti amplificatori di transconduttanza che, pilotati in tensione, erogano sull'uscita una corrente ragionevolmente proporzionale ad essa, lasciando poi al carico connesso a questa stessa uscita il compito di definirne la tensione (e quindi il guadagno in tensione dello stadio) a cui deve corrispondere detta corrente. Come già detto, questo tipo di arrangiamento consente di massimizzare il rendimento in termini di guadagno di anello di pochi stadi che vengono spinti in questo modo a livelli di amplificazione elevatissimi, dell'ordine di alcune migliaia o anche di alcune decine di migliaia di volte, che viene successivamente utilizzato sia per ridurre le non linearità complessive del circuito sia per fargli simulare il più soddisfacentemente possibile il comportamento da generatore di tensione che, pur essendo in genere il risultato cercato, intrinsecamente il circuito non è se non a un livello prestazionale piuttosto scadente.

Gli amplificatori di transconduttanza sono però solo una delle quattro possibili tipologie di amplificatori realizzabili con un dispositivo attivo. Le altre tre sono amplificatore in corrente (uscita in corrente controllata da un un segnale in corrente), amplificatore in tensione (uscita in tensione controllata da un segnale in tensione) e amplificatore di transresistenza (uscita in tensione controllata da un segnale in corrente) che è poi il vero e proprio "duale" dell'amplificatore di transconduttanza.
L'amplificatore in corrente, di cui un esempio di utilizzo è descritto nel paragrafo sul "BUFF-1" lo possiamo considerare un'estensione o un "booster" dell'amplificatore di transconduttanza e pertanto non ce ne interesseremo oltre. Restano gli amplificatori di tensione che, qualora si accetti di disporre di un guadagno ad anello aperto anche notevolmente (ma non necessariamente!) più limitato di quello "spremibile" da un amplificatore di transconduttanza adeguatamente caricato, consentono di ottenere, nativamente e prima della chiusura dell'anello di retroazione, un amplificatore di tensione "doc", tale di natura e non solo in virtù dell'uso della retroazione stessa (che comunque ne riduce le non linearità e ne stabilizza le prestazioni come nell'altro caso).
Nella figura soprastante sono illustrati tre circuiti di esempio che mostrano come "degenerare" un amplificatore di trasconduttanza in un amplificatore più incline a comportarsi da generatore di tensione. Tutti e tre possono essere realizzati sia nella polarità opposta che in versione complementare. In quest'ultimo caso però il tipo "C" si riduce, di fatto, ad essere una variante del tipo "A" accoppiato ad uno stadio stadio d'uscita a triplo inseguitore di emettitore

1) Il tipo "A" è allo stesso tempo semplice e adatto ad essere applicato ad amplificatori esistenti con il minimo assoluto di cambiamenti. In pratica, a parte l'aggiunta di una resistenza in parallelo al condensatore di compensazione, non vi è, almeno in prima istanza, nient'altro da modificare.
La semplicità però si paga non solo con una consistente riduzione del guadagno dello stadio (e quindi di quello ad anello aperto dell'intero amplificatore) ma anche con una riduzione della sua impedenza d'uscita piuttosto scarsa. In realtà questo arrangiamento ,per quanto applicabile a quasi tutti gli amplificatori, è da consigliarsi solo per quelli che, a prescindere dall'esistenza della controreazione, esibiscono un'ottima reiezione ai disturbi di alimentazione (che però può essere migliorata con l'aggiunta sulle alimentazioni di una o due celle RC che separino l'alimentazione della parte di segnale del circuito da quella di potenza) e basse distorsioni intrinseche (in mancanza delle quali occorrono invece revisioni strutturali dell'intero circuito, non sempre praticabili o anche solo consigliabili). In generale, uniformando il tasso di retroazione del circuito a frequenze inferiori a quella definita dalla costante RC formata dalla resistenza e dal condensatore di compensazione posti in retroazione tra ingresso e uscita del VAS, se da un lato uniforma l'efficacia della retroazione verso le basse frequenze, dall'altro ne "uniforma", limitandola, anche la sua efficacia. Questo rovescio della medaglia si traduce in una riduzione della SVR del circuito a frequenza di rete che andrà pertanto recuperata con provvedimenti ad hoc sull'alimentatore.

2) Il tipo B - che comporta l'aggiunta di un buffer in corrente "libero" tra VAS e stadio finale - può essere realizzato anche senza la resistenza in parallelo al condensatore di compensazione per quanto, in questo caso, non peggiori nulla: il guadagno dell'intero stadio, sviluppandosi su una resistenza di carico reale e non su una prodotta dinamicamente dal circuito, è tra i più bassi che si possano ottenere da uno stadio ad emettitore, source o catodo comune. Il guadagno ad anello aperto è quasi sempre di gran lunga inferiore ai 60 dB ed esige pertanto massicci provvendimenti preventivi di aumento della SVR e di riduzione delle distorsioni intrinseche del circuito.
Tuttavia, una volta soddisfatte queste esigenze, l'amplificatore risultante è tra quelli che maggiormente si avvicina al suono dei migliori valvolari (NON single-ended) senza però ereditarne i difetti. Il pregio maggiore di questo circuito è quello di esibire un'impedenza di uscita di quasi due ordini di grandezza inferiore a quelli usuali con altri circuiti, garantendo così un comportamento da generatore di tensione "naturale" ancor prima della chiusura dell'anello di retroazione (che in questo caso, disponendo di riserve molto limitate di guadagno ad anello aperto, serve più che altro a stabilizzare i punti di lavoro del circuito e a ridurne un po' l'eventuale distorsione di incrocio che comunque, al pari delle altre, va robustamente ridotta ben prima di utilizzare la controreazione).
l fattore di smorzamento, pur utilizzando un tasso di retroazione molto limitato, è almeno attorno al 50 con carichi di 8 Ohm e di fatto è limitato soltanto dalle resistenze di emettitore dello stadio finale e dalla resistenza dei cavi di collegamento con i diffusori.

Una subvariante interessante di questo stadio la si può costruire caricando il transistor VAS con un suo proprio generatore di corrente da degenerare successivamente con l'uso di un carico resistivo locale terminato a massa o sulle alimentazioni (che per il segnale in AC equivalgono a una estensione della massa), ottenendo così un guadagno ad anello aperto più elevato (in media una ventina di dB in più) a vantaggio della SVR e della linearità complessiva, anche se leggermente a scapito dell'impedenza di uscita naturale che però, una volta chiuso l'anello di retroazione, equivale a quella del tipo "B".
In realtà la vera utilità di questa subvariante, più che nel miglioramento della SVR (abbastanza limitato e non certo tale da esonerare dall'utilizzo di un alimentatore curato e stabilizzato con tutti i crismi) consiste in un miglior trattamento della distorsione di incrocio, cosa decisamente apprezzabile negli amplificatori di potenza abbastanza sostenuta (tra i 50 e i 100 Watt), dove per problemi di dissipazione termica non sempre è possibile ridurre la commutazione nello stadio di uscita ai soli transistori finali.

Buon ultimo, l'aggiunta di un buffer in corrente consente in pratica di avere, con un circuito più semplice e anche qualche problema in meno, gli stessi vantaggi dell'utilizzo di uno stadio finale a triplo inseguitore di emettitore, soprattutto a potenze di uscita relativamente contenute, per le quali, sulla base di motivazioni puramente economiche, si tende a ridurre il numero di componenti impiegati, nonostante sia in sè una scelta tecnicamente piuttosto discutibile - per le alte potenze invece il triplo inseguitore o la tripletta si impongono da sè ed è pertanto meno sentita l'esigenza di "surrogarle" con qualcosa che non ne faccia rimpiangere "l'assenza".

3) il tipo "C" è il più flessibile dei tre e costituisce in pratica una sofisticata evoluzione del tipo "A" anche nella versione "classica" con il solo condensatore di compensazione. Questo tipo di circuito infatti, chiamato connessione Sziklay, è in pratica un efficace tentativo di combinare in un unico superstadio i vantaggi dell'amplificatore a transconduttanza (elevato guadagno in tensione) con quelli dell'amplificatore di tensione "doc" (bassa impedenza di uscita). Esso è, non a caso, uno dei "pezzi forti" che hanno fatto del NAD 3020a il signor amplificatore che è nonostante le sue apparenze "povere" (vedi gli articoli dedicati pubblicati in altra parte del blog

Questo stadio è per molti aspetti un "ibrido" tra un amplificatore di trasconduttanza e uno di tensione al punto che in effetti può essere visto, a seconda della convenienza, o come un amplificatore ad altissima transconduttanza a bassa impedenza di uscita, o come un amplficatore di tensione ad impedenza di uscita relativamente elevata. Secondo il mio gusto, il fattore distriminante tra le due visioni è la presenza o meno del resistore in parallelo al condensatore di compensazione: CON il resistore, il circuito andrebbe opportunamente visto come un amplificatore di tensione; SENZA il resistore come un amplificatore di transconduttanza "bufferizzato".
Tuttavia non è un criterio da prendere troppo rigidamente: il primo tipo di stadio è stato in passato usatissimo in molti amplificatori di potenza limitata, includendo nella retroazione locale della rete RC base-collettore anche lo stadio finale che in questo caso, pur essendo non un buffer ma "il" buffer in corrente dell'intero amplificatore, a causa della bassa impedenza del carico connesso all'uscita riporta tutto il circuito alle sue origini di amplificatore di transconduttanza, che viene trasformato in amplificatore di tensione solo grazie all'intervento della controreazione.

La carrellata di VAS, in corrente e in tensione, con le sole eccezioni del doppio VAS complementare e, parziale, dell'Hitachi, hanno in comune il limite di essere stati concepiti originariamente come VAS di circuiti ad alimentazione singola che, avendo solo un lato "attivo" rispetto ai disturbi di alimentazione, potevano controbattere questi ultimi con mezzi semplici, efficaci e diretti.
Una situazione particolarmente fortunata era costituita da quegli amplificatori in single ended con il VAS a emettitore comune ancorato a massa e lo stadio d'ingresso a singolo transistor alimentato direttamente dall'uscita dell'amplificatore. In pratica bastava separare l'alimentazione dei finali da quella del VAS tramite una cella di filtro RC e l'amplificatore diventava di fatto immune a qualsiasi disturbo proveniente dall'alimentazione, compresa l'autointermodulazione, nonostate il circuito fosse nel suo complesso piuttosto semplice e non particolarmente prestante dal punto di vista del guadagno ad anello aperto.
Ed è proprio questo tipo di interazioni che motivano il fatto che spesso, ad onta della loro semplicità, questo tipo di amplificatori tende ad essere decisamente meglio suonante di altri circuiti più elaborati o anche dello stesso circuito alimentato con tensione duale anzinchè singola: un esempio di questo circuito, pur con le differenze dovute all'uso di uno stadio finale particolare, è costituito dal classico amplificatore di Linsley-Hood (che però al posto della cella RC impiegava un vero e proprio alimentatore stabilizzato per l'intero amplificatore).

La differenza chiave tra i due sistemi di alimentazione rispetto all'influenza che hanno sulla timbrica del circuito, consiste innanzitutto nel fatto che negli amplificatori ad alimentazione singola la massa di riferimento in continua e in alternata è unica mentre nei circuiti alimentati dualmente le due masse sono separate in continua e, nella stragrande parte dei casi, unite in alternata SOLO grazie ai condensatori di livellamento dell'alimentatore principale che, in questi circuiti, hanno un'influenza sulla timbrica dell'amplificatore ben superiore a quella di un alimentatore a tensione signola, in cui gli effetti della ESR dei condensatori, non essendo in alcun modo in serie al collegamento tra massa continua e massa in alternata (fisicamente coincidenti), esercitano un'influenza decisamente minore.
La seconda differenza chiave tra i due sistemi consiste nel fatto che, mentre negli alimentatori a tensione singola la SVR oltre che appoggiarsi sul tasso di retroazione e sulle sue vicende all'interno della banda audio, può usufruire dell'efficace aiuto di accorgimenti passivi (celle RC) che di fatto COMPENSANO la diminuita efficienza della retroazione al crescere della frequenza, negli alimentatori a tensione duale la SVR è in pratica quasi sempre sostenuta SOLTANTO dal tasso di retroazione. Questo fa sì che la ESR dei condensatori di alimentazione, i cui effetti sono in linea di massima combattuti dalla retroazione stessa, si trovi in pratica campo libero proprio quando può fare più danni, cioè ad alta frequenza dove la SVR derivante dalla retrozioazione è fortemente ridimensionata dalle compensazioni necessarie a impedire al circuito di auto-oscillare.
L'influenza negativa della ESR sull'autointermodulazione ad alta frequenza degli amplificatori è in pratica abbastanza forte da produrre interferenze UDIBILI che, seppure contenute, si fanno notare per la loro ASSENZA ogni volta che, aumentando le capacità di livellamento sull'alimentazione o frammentandole in capacità più piccole connesse in parallelo, la riduzione della ESR totale che le genera riduce di concerto anche la loro ampiezza.

Prima di passare a personalizzare il discorso appena fatto sulle necessità del "nostro" finale, val la pena di sprecare due parole sulla possibilità di realizzare VAS "ibridi" che rappresentino non generatori di tensione o corrente "ideali" ma precisamente quello che è più che siano (cioè generatori di potenza aventi una impedenza di uscita finita e una capacità di sviluppare tensione o erogare corrente su di essa ugualmente finita) ma, differentemente dal solito, con dette caratteristiche pianificate e dimensionate a priori.
L'ambito d'uso di amplificatori concepiti in questo modo è in linea di massima piuttosto ristretto, adatto soprattutto a fungere da amplificatori dedicati non ad altoparlanti o diffusori generici ma piuttosto di altoparlanti con caratteristiche elettromeccaniche ben definite e note al progettista dell'amplificatore che, come una sorta di "sarto elettronico" gli confezionerà "su misura" il finale di cui ha bisogno per essere pilotato al meglio.
Tuttavia, sebbene questo tipo di esigenze possano essere soddisfatte agendo sui circuiti dei VAS proposti poc'anzi, riesce molto più semplice e diretto in questo caso dimensionare una rete di controreazione ad hoc in grado di produrre le caratteristiche desiderate per interfacciarsi al meglio con un dato altoparlante e curare le prestazioni intrinseche dell'amplificatore soprattutto per quanto riguarda l'assicurare la sua stabilità in tutte le condizioni in cui è presumibile che si troverà a lavorare.

La carrellata appena vista di VAS con uscita in corrente e in tensione non esaurisce certo le possibili varianti per le quali l'unico vero limite, oltre ai vincoli posti dalle funzioni che devono svolgere, è costituito unicamente dalla fantasia del progettista: nel nostro caso non molto vivida! :-).

Una caratteristica dei VAS ormai superata dai tempi è che essa, all'epoca in cui il semplice risparmiare uno stadio e quindi almeno un transistor costituiva una NETTA riduzione dei costi di costruzione di un amplificatore, svolgeva anche la funzione di stadio d'ingresso tout court dell'amplificatore. Di questa funzione e dei circuiti che oggigiorno la implementano serparatamente dal VAS parleremo nella quarta parte di questo lungo articolo.

Piercarlo
(fine terza parte)

4 commenti:

  1. Ciao
    una domanda..... non ho capito come hai trovato il carico da 270ohm (220ohm) visto dai piloti.

    Grazie

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    1. E' il carico riflesso dai transistori di uscita (o comunque facenti parte di un inseguitore di tensione) verso le loro basi e che come tale viene visto dallo stadio che li precede. Si ottiene moltiplicando il carico di uscita (4 o 8 ohm) per il beta dei transistori. Non è ovviamente un carico lineare a meno che non sia lineare anche l'andamento del beta con la corrente di lavoro dei transistori.

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  2. :-) caspita, io moltiplicavo il beta con la resistenza di base + la resistenza di emettitore.

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  3. Se intendi Rbb ed Re, quello è il carico riflesso rappresentato da un cortocircuito sull'uscita! :-)

    Battute a parte, il discorso del carico riflesso è solo in apparenza un discorso "semplice" e, nella forma data nella risposta precedente, vale solo per i transistori bipolari usati come finali di uscita e quindi lavoranti con correnti di riposo già abbastanza consistenti da rendere trascurabile il contributo della resistenza interna di emettitore (ovvero l'inverso della trasconduttanza gm, che nei bipolari si "toglie dai piedi" quasi subito - già sopra i 10 mA di corrente di collettore - proprio a causa del suo valore enorme); altrimenti le cose si complicano abbastanza anche se fortunatamente non in maniera "intrattabile".

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