venerdì 11 settembre 2009

"Ricetta" per un finale audio - II - Lo stadio finale e l'alimentatore

Seconda parte dell'articolo sui fnali audio, originariamente postato come testo singolo. La prima parte la trovate qui.

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Dopo tante parole un po' astratte è venuto ora il momento... di altre parole più pratiche e concrete! :-) Proveremo ora, sulla base di quanto detto in precedenza, a dimensionare il meglio possibile uno stadio d'uscita in grado di erogare 5 Ampere di picco su 6 Ohm prima di entrare in saturazione, corrente che corrisponde, su questo carico, a una tensione di picco di 30 Volt e una uscita nominale di 75 Watt di potenza media (il nome corretto con cui dovrebbe essere chiamata la cosiddetta "potenza R.M.S." che tecnicamente è una definizione incongrua; ogni tanto val la pena di ricordarlo). Con un carico nominale di 8 Ohm la potenza si ridurrebbe a soli 56 Watt... cosa che ci deve far un attimo riflettere a proposito degli sforzi termici reali di un amplificatore reale che piloti un carico altrettanto reale... Un amplificatore come quello appena definito verrebbe venduto come un 55 Watt per canale quando in effetti, con un carico reale, lavora a tutti gli effetti come un amplificatore di 70-80 Watt! Una differenza piuttosto importante che va a incidere (o "dovrebbe" andare a incidere...) sul dimensionamento dei dissipatori, dell'alimentatore e, per quel che riguarda il circuito, sulla scelta stessa dei finali!

Con queste correnti, tensioni e potenze di uscita la coppia 2N3055-MJ2955 che abbiamo prima utilizzato come cavia è assolutamente al di sotto di ogni minimo prestazionale, anche quello richiesto dalla mera sopravvivenza fisica dello stadio di uscita; se vogliamo costruire un amplificatore che stia in piedi con questi carichi di lavoro dobbiamo necessariamente guardare altrove e anche un po' più in alto, soprattutto se vogliamo adottare una sola coppia di dispositivi di uscita. Per far ciò ci aiuteremo con i datasheet della Onsemi (ex Siemens) che ha ereditato praticamente l'intera produzione di bipolari di potenza un tempo appannaggio della Motorola.

La coppia di transistori che più di altri rappresentano gli eredi naturali della coppia 2N3055-MJ2955 è la MJ15003-15004, che non sono altro che dei 3055-2955 diffusi in un chip di maggiore superficie e assemblati in modo da reggere una corrente di collettore maggiore (15 A di collettore contro i 10 A edlla vecchia). Al pari dei suoi predecessori è ormai anch'essa una coppia "storica": il suo valore tecnico è pressochè identico a quello della 2N3055-MJ2955 mentre il suo prezzo (9-10 euro la coppia su RS), nonostante la sua relativa superiorità tecnologica, è in definitiva meno competitivo rispetto a quello della vecchia 3055-2955. Rispetto a quest'ultima però, in caso di riparazioni, sono dei sostituti decisamente più affidabili (purchè sia affidabile il fornitore! Occhio ai tarocchi...), soprattutto se l'elettronica in riparazione viene normalmente utilizzata in condizioni di lavoro relativamente gravose.

Ulteriore evoluzione delle coppie precedenti è la MJ15024-15025 che, anch'essa prezzata su RS intorno ai 10 euro, rispetto alla MJ15003-MJ15004, riscatta assai meglio il suo costo, esibendo una maggiore tenuta di guadagno in corrente agli alti valori di questa e delle prestazioni in frequenza un po' migliori. Di cui però paga lo scotto con una minore tenuta assoluta in potenza in regione di valanga secondaria. Per le sue caratteristiche rappresenta un anello intermedio nell'evoluzione intercorsa tra i bipolari di potenza classici e quelli moderni tipo Sanken-Toshiba.

Un'ulteriore evoluzione su questa strada è rappresentata dalla coppia MJ21194-MJ21193, che sempre a circa 10 euro alla coppia fornisce di fatto uno dei pochi equivalenti in case TO-3 dei transistor Toshiba-Sanken, estremamente utili qualora occorra apportare aggiornamenti sostanziali alla qualità elettrica di un vecchio finale senza doversi pure imbarcare nelle modificazioni meccaniche richieste dall'adozione diretta in circuito dei transistori giapponesi, prodotti nella loro quasi totalità in contenitore plastico.

Tra le coppie complementari classiche, la 2N5886-2N5884 (NPN il primo e PNP il secondo) rimane ancora oggi piuttosto interessante. Di costo OGGI relativamente contenuto rispetto alle sue prestazioni (circa 7 euro la coppia su RS), essa rappresenta un effettivo salto di qualità rispetto alle precedenti, a partire dai guadagni minimi in corrente che hanno sì un andamento simile ma a correnti di collettore praticamente doppie!
Alla corrente di collettore che abbiamo preso come riferimento (5 ampere di picco) il guadagno in corrente è, al minimo, pari a 30 che, al di fuori della saturazione, significa avere una coppia pilotabile alla massima potenza con meno di 170 mA, requisito che ci lascia ampie possibilità di scelta rispetto ai driver da assegnargli come piloti. Le correnti che poi si andranno realmente a richiedere a questi saranno, per vari motivi (polarizzazioni, capacità interne da caricare e scaricare e simili) più comprese tra i 200 e i 250 mA che comportano, a carico dei driver, una dissipazione termica compresa tra i 3 e i 4 Watt, abbastanza ragionevole considerando la potenza d'uscita erogabile dai finali. Per il nostro esempio la possiamo inserire nella lista delle "candidabili" anche se, come vedremo proseguendo, non proprio in cima alle preferenze.

Una coppia molto simile come prezzi e prestazioni alla precedente è la MJ802-MJ4502. Dal punto di vista di un finale audio ne rappresenta un equivalente; le differenze tra i datasheet, più che a differenze strutturali sono per lo più dovute a differenti condizioni di misura e i dati di una coppia possono essere usati tranquillamente come integrazione di quelli dell'altra coppia e viceversa.

Le coppie discrete sopra citate, assemblate in contenitori TO-3, non esauriscono certo la gamma di coppie classiche disponibili in questo tipo di contenitore; purtroppo però altre coppie veramente notevoli come lo sono la 2N5686-2N5684 e la MJ14002-MJ14003, si collocano a prezzi compresi tra i 28 e i 30 euro la coppia, decisamente troppi per un progetto "casalingo" qual è il nostro.

Oltre alle coppie discrete esistono anche le cosiddette "coppie Darlington" in cui il criterio di selezione, oltre che nella doverosa valutazione della SOAR (più critica in quanto riguardante due transistor in uno stesso contenitore anzichè uno solo - che si riflette nel dato di massima potenza dissipabile, di solito inferiore a quello di transistori "single" analoghi in tutti gli altri parametri), consiste semplicemente nell'assicurarsi che la massima corrente di uscita rientri ancora sotto "l'ombrello" della parte in salita della curva di guadagno in corrente all'aumento di quest'ultima. Per quanto ho potuto vedere finora il tetto massimo di tale braccio in salita della curva si pone tra i 3 e i 4 ampere massimi di collettore, valore tutt'altro che dispezzabile e da valutare giudiziosamente qualora si si intenzionati a costruire uno stadio finale di potenza inferiore ai 40 Watt per canale.

In contenitori diversi dal TO-3 esiste una miriade di coppie di transistor di ogni tipo che però, nel nostro caso (e facendo riferimento al catalogo Onsemi), o sono duplicati di transistori già considerati in TO-3 oppure non consentirebbero di realizzare lo stadio finale con una sola coppia di transistori di uscita.
Con una eccezione: la coppia MJL3281A-1302A che, oltre a rappresentare da noi i "capostipiti" della generazione Toshiba-Sanken (o meglio: in questo caso solo Toshiba), è stata prodotta in svariate versioni su licenza sia da Onsemi che da altri produttori occidentali (tra cui, buon ultima, anche ST-Thomson). Ci ritorneremo tra poco in dettaglio quando svilupperemo il nostro esempio secondo tre linee: "top", "buono" e "sfigato", secondo me un aggettivo molto più qualificato a definire le cose come stanno al posto dell'edulcorato (e abusato) "entry-level". Prima di andare avanti occorre però indagare per benino un vecchio e mai spiegato "arcano" della progettazione dei finali audio: la corrente di riposo dello stadio finale .

La corrente di riposo negli stadi finali in classe AB

La corrente di riposo di un finale a transistori è da sempre una questione aperta su cui si è fatto e detto di tutto, tranne che definire una prassi precisa per stabilirne il valore. Anche negli apparecchi commerciali, il valore consigliato nei service manuals è il più delle volte (almeno per i costruttori più seri) la media delle correnti di riposo di alcuni amplifcatori la cui corrente di bias è stata regolata per la minima distorsione ai bassi livelli. Questa prassi empirica, in sè ineccepibile, è già di suo assai illuminante sull'elusività dell'intera questione.
Per fissare le idee, si può cominciare ad affermare che, in uno stadio finale, esistono tante correnti di riposo quante sono le coppie di transistori coinvolte, sia se utilizzate connesse in parallello sull'uscita sia se utilizzate invece come piloti e pre-piloti. Ed esistono, almeno potenzialmente, altrettante distorsioni di incrocio quante sono le coppie i cui membri commutano alternativamente dalla conduzione all'interdizione e viceversa. A questo, tanto per complicare un po' le cose, va aggiunto il fatto che esiste non un solo tipo di distorsione di incrocio ma addirittura tre, di cui una specifica delle alte frequenze, proprio quelle più difficili da controreazionare e linearizzare.

Il primo tipo di distorsione di incrocio, brutale, aspra e praticamente incorreggibile con la retroazione è probabilmente anche la più nota perchè più facilmente comprensibile: se le curve di trasferimento tra i dispositivi di uscita di un finale non hanno almeno UN punto in comune in cui conducono entrambi, avremo all'uscita una discontinuità i cui effetti principali saranno l'aprire l'anello di retroazione annullandone l'azione, e generare ad alta frequenza una quantità abnorme di spurie che intermoduleranno selvaggiamente con ogni segnale audio in transito.
Questo tipo di incrocio può presentarsi anche in amplificatori apparentemente ben regolati: non solo essa dipende fortemente dalla corrente di riposo minima assegnata allo stadio finale ma anche e in misura maggiore dalla sua stabilità con la temperatura e quindi dallo sfruttamento più o meno intensivo dello stadio finale stesso. E come se non bastasse, la corrente di riposo andrebbe ottimizzata ogni sei mesi al cambio di stagione tra inverno ed estate e viceversa - meglio ancora, un buon amplificatore dovrebbe prevedere un commutatore apposta che permetta di selezionare la corrente di riposo più adatta rispetto all'effettiva temperatura ambiente, ovvero una posizione "invernale" valida al di sotto dei 20 °C e una "estiva" valida invece al di sopra di tale temperatura.

Se tutto questo non viene fatto è perchè sostanzialmente non risolverebbe nulla: per ottimizzare la distorsione d'incrocio rispetto alla temperatura occorre stabilizzare non la corrente di riposo ma la transconduttanza di riposo dello stadio finale. E questo è quello che si cerca realmente di fare, avvalendosi sia della retroazione locale sugli emettitori dei dispositivi finali, sia di elementi di controllo sulla polarizzazione degli stessi sensibili alla temperatura (e possibilmente, come si cerca di ottenere con le serie di diodi e con i moltiplicatori di Vbe, aventi lo stesso tipo si sensibilità termica propria dei transistori di uscita).
Questo tipo di soluzione, anche se migliora il trattamento del problema, non lo risolve completamente ma in realtà lo sposta soltanto, cambiandone in qualche modo la "faccia": se prima si correva il pericolo di incorrere in una discontinuità netta nella caratteristica di trasferimento dello stadio finale, esso viene ora sostituito dal suo contrario, cioè l'avere una sovrapposizione eccessiva delle due semicaratteristiche di trasferimento appartenenti all'uno o all'altro dispositivo di uscita del finale; una situazione, in effetti, che porta alla sostituzione di UNA SOLA discontinuità "hard" AL passaggio per lo zero, con DUE discontinuità "soft" INTORNO al passaggio per lo zero. Va detto che di per sè questo secondo tipo di discontinuità è in ogni caso assai più benigna rispetto a quella del primo tipo perchè, contrariamente a questa, lascia l'anello di retroazione integro ed efficiente, in grado di ridurne molto efficacemente gli effetti sul segnale in transito. Poichè di fatto la maggioranza degli amplificatori moderni è affetta, più che dal primo tipo di distorsione di passaggio per lo zero, da questo secondo tipo, è proprio su questo che concentreremo le nostre attenzioni.

La distorsione d'incrocio di seconda specie - Questa è al giorno d'oggi, negli amplificatori audio di concezione ragionevolmente attuale, l'unica distorsione realmente influente al passaggio per lo zero. Essa viene definita dall'interazione di tre fattori: la corrente di riposo della coppia di transistori interessata, la sua temperatura di lavoro e le resistenze presenti sia nel circuito di emettitore (sempre) sia nel circuito di base (in special modo ad alta frequenza). Tra i tre, il ruolo chiave è giocato dalle resistenze poste in serie all'emettitore che, in linea di massima, impongono un valore di corrente di riposto tanto più elevata quanto più sono di basso valore. Queste resistenze sono date dalla somma delle resistenze esterne vere e proprie con le resistenze interne ai transistori, composte a loro volta dalla resistenza dei conduttori di collegamento interni del chip e dall'inverso della sua transconduttanza alla corrente di lavoro.
Quest'ultimo termine, non appena le correnti di uscita divengono un po' consistenti, viene di fatto "cancellato" dalla resistenza dei collegamenti che, al di sopra del mezzo ampere, diviene la componente dominante delle resistenze interne in serie all'emettitore. Essa è a tutti gli effetti una resistenza a filo e come tale si comporta, introducendo così una modestissima retroazione locale di emettitore, il cui effetto principale è quello di svincolare la trasconduttanza dall'andamento della corrente di collettore rendendola praticamente costante per tutte le correnti di collettore superiori a un ben definito valore che caratterizza, della curva di transconduttanza, il punto di flesso inferiore, al di sotto del quale ricomincia a dominare l'andamento esponenziale classico che nei bipolari lega la Vbe alla loro corrente di collettore. Ed è proprio il valore di corrente di collettore in questo punto di flesso che definisce, per una data resistenza in serie al circuito di emettitore, il valore ottimale della corrente di riposo di una data coppia di transistori. Un valore inferiore riporta in vita il rischio che la distorsione di incrocio di secondo tipo "degeneri" in quella di primo tipo mentre un valore superiore porta a distanziare più nettamente le due discontinuità caratteristiche della distorsione di secondo tipo. E sebbene questa sia tra i due tipi il male minore, non per questo può essere lasciata correre a briglia sciolta.

Il valore delle resistenze in serie all'emettitore sono, per ragioni che saranno presto evidenti, il frutto di un compromesso tra due esigenze in contrasto tra loro: la necessità di minimizzare la corrente di riposo dello stadio finale e quella di contenere al minimo la sua impedenza di uscita naturale, a cui ovviamente le resistenze di emettitore danno un contributo importante. Mentre la prima esigenza imporrebbe l'uso di resistenze di emettitore il più possibile elevate, la seconda al contrario ne richiederebbe addirittura l'assenza! Il compromesso migliore viene raggiunto, negli stadi che escono di emettitore, sfruttando quella che per lo stadio di uscita non è altro che la resistenza di emettitore comune a entrambi i rami dello stadio stesso: la resistenza di carico. Compromesso che però mette in luce un altro punto solitamente non menzionato al riguardo della corrente di riposo, ovvero che essa andrebbe ottimizzata ANCHE in funzione dell'impedenza di carico! Come molti altri problemi di elettronica apparentemente semplici, la regolazione della corrente di riposo è in realtà una vera "cipolla" in cui non appena si è finito di toglierne uno strato se ne trova subito sotto un altro.
Il valore delle resistenze di emettitore fissa quella che, a prescindere dall'impedenza del carico, dovrebbe essere la massima corrente di riposo in un amplificatore in classe AB. Che non è altro che quella corrente di emettitore a cui l'inverso della transconduttanza del transistor equivale al valore della resistenza in serie all'emettitore stesso. Tenendo buono questo criterio possiamo facilmente valutare tale massima corrente di riposo nel caso abbastanza comune in cui vengano adottate resistenze di emettitore da 0.33 Ohm, a cui va aggiunta una resistenza dei collegamenti interni compresa tra gli 0.05 Ohm e lo 0.1 Ohm per i transistori finali più comuni in grado di gestire potenze d'uscita nella fascia 25-40 Watt per canale su 8 Ohm di carico nominale. Arrotondando tutto molto comodamente a 0.4 Ohm in serie all'emettitore di ciascun transistor di uscita otteniamo, all'accensione "a freddo" e alla temperatura di riferimento canonica per i transistori di 25-27 °C

26 mV/0.4 Ohm = 65 mA


dove i 26 mV rappresentano l'equivalente in tensione della temperatura ambiente appena citata a cui lavora la giunzione base emettitori dei transistori che stiamo considerando (si veda al riguardo il tutorial dedicato al calcolo delle amplificazioni presente in questo stesso blog).

Come si vede, contrariamente all'idea errata che hanno molti audiofili (e a suo tempo anche il sottoscritto, lo devo ammettere), che più corrente di riposo c'è e meglio è, la massima corrente di riposo ragionevolmente prossima a quella ottimale, per gran parte degli amplificatori audio domestici che utilizzano bipolari in classe AB nello stadio d'uscita, è piuttosto modesta: se si aumenta indiscriminatamente la corrente di riposo al di sopra di questo limite, la distorsione tende di nuovo ad aumentare anzichè a diminuire.

Che la corrente di riposo realmente richiesta dallo stadio finale per esibire la minima distorsione di incrocio sia modesta è certamente una buona notizia; purtroppo è anche accompagnata dalla cattiva notizia che essa vale più che altro come valore orientativo. Nella realtà ci mettono infatti lo zampino altri fattori la cui influenza complessiva sulla distorsione di incrocio può essere valutata solo in modo approssimativo ed empirico. Il più importante tra questi è il fatto che non soltanto la temperatura di lavoro reale della giunzione base-emettitore è ben più elevata dei 25-27 °C ricordati sopra (almeno intorno ai 60 °C) ma che è pure ben lungi dall'essere costante. La stabilità termica della corrente di riposo di un finale rappresenta un buon condensato di tutte le bestie nere che in esso hanno a che fare con la sua temperatura di lavoro.
Il primo dato saliente da cui partire è che la transconduttanza aumenta proporzionalmente all'aumento della temperatura assoluta (in gradi Kelvin) della giunzione. Poiché tale proporzionalità deriva dall'aumento lineare della tensione termica dei portatori di carica che transitano la giunzione stessa, ne consegue che per conservare invariata la transconduttanza il loro numero deve ridursi, ovvero si deve ridurre la corrente di polarizzazione della giunzione base-emettitore del transistor: un effetto che i normali circuiti di polarizzazione a serie di diodi o a moltiplicatore di Vbe da soli NON riescono ad assicurare.
Nel migliore de casi, infatti, tali circuiti riescono unicamente a compensare la diminuzione della Vbe necessaria a garantire la costanza della corrente di riposo rispetto alla temperatura ma non la sua diminuzione come invece sarebbe opportuno. Nei casi più comuni la corrente di riposo tende addirittura ad aumentare e pure in maniera cospicua (ciò anche a causa del fatto che, per tagliar corto sui tempi di costruzione, la corrente di riposo dei finali viene quasi sempre regolata a freddo, senza lasciare all'apparecchio il tempo di raggiungere la sua effettiva temperatura di lavoro).
Ma anche tralasciando queste ultime situazioni resta comunque il fatto che, se si vuole ottenere uno stadio di uscita a transconduttanza (e quindi distorsione di incrocio) ragionevolmente costante con la temperatura, occorre "aiutare" i circuiti di polarizzazione in modo che sovracompensino le variazioni di temperatura di quel tanto che serve a raggiungere lo scopo. Questi aiuti supplementari possono derivare sia dal comportamento in temperatura delle resistenze di emettitore (che andrebbero considerate vere e proprie appendici dei transistori di uscita e come tali montate insieme ad essi sullo stesso dissipatore), sia da varianti ad hoc del circuito che ne polarizza le basi in assenza di segnale. Un aiuto particolare può anche venire, nel caso di stadi di uscita equipaggiati con più di una coppia di dispositivi finali, dall'usare per ciascuna di esse delle resistenze di emettitore con valori diversi anche se contigui.
Un aspetto importante della stabilità della polarizzazione dello stadio finale è costituito dal montaggio fisico del suo stadio di uscita: transistori piloti, transistori finali e annesse reti di polarizzazione e di stabilizzazione andrebbero sempre considerate, dal punto di vista termico, se non proprio una sola entità, almeno una simbiosi molto stretta, soprattutto in caso di connessione tra piloti e finali diverse dal tipo "C" che abbiamo avuto modo di vedere parecchio più sopra in questo articolo. Ma quel che più importa è che nessun dettaglio di questa parte del circuito e della sua implementazione fisica può essere lasciata al caso, pena il rischio di ritrovarsi con un amplificatore dalla timbrica a "temperatura variabile"o necessitante di abbastanza oscuri "periodi di rodaggio" che il più delle volte sono altrettanti sintomi di un'attenzione inadeguata, in sede di progetto, ai problemi legati alle condizioni termiche in cui i circuiti si trovano a lavorare in pratica.
Quale che sia la soluzione adottata rispetto al problema generale dello smaltimento di calore generato dallo stadio finale e quali che siano i tempi di reazione termica complessivi dello stesso, va assicurato quanto più possibile la rapidità del tracking reciproco delle variazioni di temperatura di tutti i suoi elementi attivi, compresi tra questi non solo i transistori o i diodi direttamente coinvolti ma anche i componenti passivi ad essi associati (vedi il caso delle resistenze di emettitore da montare insieme ai finali ricordato qualche riga fa).

I dettagli riguardanti l'ingegneria degli scambi termici e la loro tempistica costituiscono, appunto, un vero e proprio capitolo a parte dell'ingegneria in genere e pertanto, anche se è materia altamente consigliabile, tra le tante altre, a chi va a proporre "esplosivi" (letteralmente!) amplificatori da 11.000 euro e rotti, la lasceremo senza rimpianti agli specialisti della materia. Le nostre finalità sono, oltre che più modeste (un budget di 100-150 euro per canale, escluso il mobile, dovrebbe essere un tetto sensato da rispettare per un hobbista) anche più facilmente conseguibili, a patto che vengano rispettate alcune condizioni di base per limitare i danni della distorsione di passaggio per lo zero nello stadio finale:

1) La distorsione di incrocio deve essere rigorosamente "soft" o di seconda specie: in nessuna situazione di funzionamento normale vi deve essere la possibilità che l'anello di retroazione dell'amplificatore si apra.

2) Il tasso di retroazione sull'intera banda audio, oltre che costante, deve essere anche ragionevolmente consistente - non inferiore ai 40-50 dB.

3) La o le coppie di dispositivi che commutano al passaggio per lo zero devono essere confinate al solo gruppo dei dispositivi di uscita veri e propri; ai piloti e ai prepiloti deve essere impedita sul nascere ogni possibilità di interdizione e commutazione sull'intera escursione del segnale in uscita - mentre quest'ultima viene connessa al minore dei carichii ammessi in fase di definizione del progetto.

4) Adottando il criterio al punto 3), il tracking termico del circuito di polarizzazione deve essere influenzato SOLO dalle variazioni dei dispositivi che commutano (quelli di uscita) e SOLO per la parte di Vbe che li interessa direttamente. Piloti e prepiloti, se non commutano al passaggio per lo zero, devono rimanerne fuori. In pratica questo significa che i piloti e i prepiloti andranno montati su un dissipatore a parte e che il circuito di polarizzazione dovrà necessariamente essere costituito da due parti dedicate anzichè da un unico circuito generale come solitamente si usa fare.

Il circuito di polarizzazione: diodi o moltiplicatore di Vbe?

Oggigiorno gli stadi di uscita di un finale audio sono per la quasi totalità polarizzati mediante l'uso del cosiddetto "moltiplicatore di Vbe", di cui nella figura sottostante sono rappresentate alcune varianti. Una minoranza di finali tuttavia utilizza per la polarizzazione del suo stadio di uscita una serie di diodi in numero uguale alle giunzioni in cascata presenti nello stadio stesso. Accanto a queste esistono anche soluzioni più elaborate ma usate solo da una ridotta minoranza di elettronica: quelle che fanno uso di varietà esotiche di moltiplicatori di Vbe e quelli che utilizzano veri e propri circuiti dedicati. Infine, un tempo, venivano usate anche reti compensate dall'inserzione di un resitore NTC (a coefficiente termico negativo), il cui intervento assai drastico era, al tempo in cui venivano utilizzati transistori al germanio, assolutamente indispensabile per compensare la feroce deriva termica di questi ultimi.

Il tipo "A" è il più semplice e anche il più largamente usato almeno da quando i transistori al silicio hanno cominciato a prevalere su quelli al germanio - ovvero dalla seconda metà degli anni sessanta. del secolo scorso. In teoria, se i transistori di uscita si vedessero direttamente tra loro senza l'interposizione di alcun genere di resistenza di emettitore, neppure di tipo "interno" o parassita nei transistor stessi, la sua azione di compensazione delle derive termiche sarebbe, rispetto ai transistor di cui insegue direttamente le derive, "quasi" esatta, a patto di assicurare che la corrente che scorre nel transistor regolatore e quella di riposo che scorre nei finali, attraversino le rispettive giunzioni con la stessa densità di portatori di carica.

In pratica questo risultato è possibile ottenerlo solo nei circuiti integrati monolitici; in tutti gli altri casi il regolatore "A" tende a sovracompensare quando regola direttamente una singola coppia di transistor (o di Darlngton monolitici ) e a sottocompensare quando li regola indirettamente attraverso una cascata pilota e finale o addirittura prepilota, pilota e finale. In questa seconda situazione si passa al tipo "B", dove la resistenza R1 in parallelo alla giunzione base collettore (che insieme a R2 in parallelo alla giunzione base emettitore definisce - secondo la formuletta (R1+R2)/R2 - il rapporto di moltiplicazione della Vbe da cui il circuito trae il nome) si ritrova spezzata in due resistenze (R1a ed R1b). Lo "splitting" di questa resistenza costituisce una piccola astuzia, il cui meccanismo merita di essere descritto nei particolari.
Il normale moltiplicatore di Vbe non fa altro che amplificare la tensione di giunzione base-emettitore (la Vbe appunto) di un ammontare fisso pari al rapporto (R1/R2) + 1 (che è solo un altro modo di scrivere la formuletta data giusto qualche riga sopra: l'uso dell'una o dell'altra forma è soltanto una questione di comodità di calcolo). Questo ammontare fisso è appunto il moltiplicatore che chiameremo "M" (ma va!) e, oltre a moltiplicare la Vbe, ne moltiplica anche le sue variazioni con la temperatura e la corrente di lavoro che scorre nel transistore regolatore. Ed è proprio qui che entra in gioco "l'astuzia" di prima: semplicemente si arrangia il circuito in modo che la Vbe statica e le sue variazioni, vengano moltiplicati per due coefficienti diversi tra loro - e precisamente più elevato di quel tanto che serve per quanto riguarda le sole variazioni. Il tutto avviene come segue:

1) Le resistenze R1b ed R2 vengono calcolate in modo da ottenere un coefficiente "M" un po' più grande del del numero delle giunzioni da controllare (in pratica gli si aggiunge una giunzione fittizia ogni quattro). Tali resistenze sono dimensionate in modo tale da assorbire non più di un venticinquesimo della corrente totale che scorre nell'intero circuito regolatore (che corrisponde poi alla corrente di collettore del VAS) in modo tale da non influire negativamente sulle capacità di erogazione in corrente rispetto alle richieste dello stadio finale connesso a valle.

2) La resistenza R1a, su cui scorre il resto dell'intera corrente di riposo del VAS, viene calcolata in modo da sottrarre la differenza di tensione in eccesso generata ai capi del partitore Rib ed R2, in modo da garantire alle basi dei finali (o più spesso dei loro piloti) dello stadio di uscita la corretta tensione di polarizzazione.

Ciò che qui gioca un ruolo determinante è il fatto che la corrente principale che scorre nel regolatore - e quindi anche in R1a - è praticamente costante e per conseguenza lo è anche la caduta di tensione su R1a. Quindi, allorchè si verifica una variazione di Vbe dovuta alle variazioni della temperatura nelle giunzioni dello stadio finale, questa non solo viene moltiplicata per l'intero fattore "M" maggiorato di cui abbiam detto sopra, ma viene anche trasferita per intero ai capi del regolatore, che in questo modo, pur essendo regolato per una data tensione di polarizzazione, vanta la stessa sensibilità alle variazioni di un regolatore calcolato per una tensione di polarizzazione maggiore. Ed è proprio in questa maggior sensibilità che risiede la capacità di questo regolatore di sovracompensare le variazioni termiche a cui è soggetto.

I regolatori "A" e "B" sono semplici, onesti e affidabili nei loro limiti, ma non sono privi di difetti, specialmente il secondo dove proprio la presenza di R1a in serie al collettore rende il bias modulabile dalle variazioni di corrente richieste dal pilotaggio dello stadio finale. Nei circuiti reali il tipo "B" richiede quasi sempre in parallelo al regolatore un elettrolitico di buona capacità, di almeno alcune centinaia di microfarad.
Il suo influsso è invece meno sentito per il tipo "A" a patto che si assegnino oculatamente i valori alle resistenze R1 ed R2, il cui assorbimento deve essere, rispetto alla corrente principale in transito nel regolatore, la più piccola possiible eppure non così piccola da far divenire il beta del transistor di regolazione un fattore in grado di influenzarne seriamente il comportamento. In pratica, se non si utilizzano transistori di segnale (più difficili da montare efficacemente sui dissipatori) non si va oltre un rapporto di 1 a 25 tra corrente del partitore e corrente principale del regolatore.

Una variante interessante del regolatore "A" utilizzabile quando si usano coppie di uscita Darlington è proprio l'utilizzo come transistor regolatore di un altro darlington, possibilmente della stessa famiglia di quelli utilizzati in uscita. Non è però una variante da utilizzare a occhi chiusi: proprio perchè i transistor darlington sono in effetti dei circuiti integrati veri e propri, occorre valutare con attenzione il comportamento effettivo del componente rispetto alle variazioni di temperatura. Oltre a questo occorre anche tenere nel debito conto la tensione di saturazione, che nei darlington è sensibilmente superiore a quella dei normali transistori e che in quanto tale può limitare l'efficacia del circuito che, dopotutto, si basa proprio sul controllo da parte del transistor regolatore della variabilità della tensione tra collettore ed emettitore.

Il regolatore di tipo "C", descritto sul finire del capitolo "Thermal compensation e thermal dynamics" del noto libro di Douglas Self, Audio Power Amplifier, rappresenta un ottimo stabilizzatore di bias, praticamente indifferente alle variazioni di corrente che lo attraversano ed è anche il solo tra quelli mostrati qui che non ha realmente alcun bisogno di condensatori che "aiutino" ad abbassare l'impedenza del circuito al segnale. Il transistor sensore è quello collegato alla rete R1 ed R2, mentre il secondo transistor fa da buffer in corrente, contribuendo a una drastica riduzione dell'impedenza dell'intero circuito rispetto alle variazioni di corrente che lo attraversano.
Degli ultimi due tipi di regolatori "D" ed "E", un tempo usatissimi, in pratica è rimasto in solo il solo regolatore a diodi "D". A dispetto della sua semplicità è il circuito di gran lunga migliore, sia dal punto di vista della sua bassa impedenza naturale, sia della sua flessibilità di adattamento ai più diversi schemi di montaggio dei transistor sui dissipatori. Esso è inoltre l'unico tipo di regolatore semplice consentito qualora si utilizzino finali di potenza con diodo sensore integrato (prodotti in Giappone da Sanken e Pioneer e da qualche anno anche in Europa da ONSEMI), gli unici che consentono di avvicinarsi a una soluzione quanto più prossima all'ideale del controllo delle derive termiche e delle potenziali distorsioni di incrocio di cui sono portatrici.
Il regolatore "E" ha ormai un valore per lo più storico, legato com'era, all'epoca in cui erano impiegati transistori al germanio, alla necessità di garantire un "guinzaglio termico" il più possibile efficace nel limitare la corsa verso l'autodistruzione per surriscaldamento a cui quel tipo di transistor erano fin troppo inclini. Pur essendo il suo intervento nei confronti delle derive termiche assai più drastico di quello dei diodi (drasticità che costituiva ai tempi la ragione stessa del suo impiego), le sue prestazioni dinamiche sono di gran lunga surclassate dal regolatore a serie di diodi, i quali grazie alla loro impedenza naturalmente bassa non necessitano di alcun aiuto da parte di condensatori di bypass (il cui uso è di fatto obbligatorio nel regolatore a NTC che, in assoluto, esibisce le peggiori prestazioni in termini di impedenza offerta in serie al segnale).
Con quest'ultimo excursus sui regolatori di bias possiamo dire di esserci fatti un'idea ragionevolmente approfondita degli annessi e connessi dello stadio di uscita di un finale audio. E' ormai tempo di passare un po' dalla teoria alla pratica; i problemi relativi agli stadi che precedono lo stadio d'uscita (VAS e stadio d'ingresso), relativamente meno pesanti, li tratteremo strada facendo.
Un esempio pratico di finale audio sui generis.
Nell'esempio che andremo a sviluppare di seguito, un amplificatore da circa 40 Watt su 8 Ohm nominali, utilizzeremo la coppia MJL3281A (NPN) e MJL1302A (PNP) prodotta da Onsemi, che le ha ereditate dalla Motorola la quale un tempo la produceva su licenza Toshiba... Costano relativamente poco e, prodotte da Onsemi, sono una coppia ancora relativamente "protetta" dal pericolo di incorrere in qualche tarocco disastroso (ovvio che la protezione assoluta non esiste... ma siamo ben lungi dal livello di infestazione che affligge i Sanken o la stessa Motorola originale - che peraltro come produttrice di bipolari di potenza oggi commercialmente non esiste più: dai suoi impianti in Messico questi escono marcati "ON", Onsemi). Lo studio del loro datasheet ci consentirà inoltre di renderci direttamente conto di quanto le loro meraviglie siano realmente tali e soprattutto realmente utili.
Per puntare a ottenere circa 40 Watt indistorti su 8 Ohm nominali dobbiamo disporre di circa 25-26 Volt di PICCO all'uscita che andranno maggiorati delle cadute di tensione che si hanno a piena potenza sull'alimentatore e sui resistori di emettitore. Inoltre, come già accennato agli inizi di questo lungo articolo, per una migliore garanzia di conseguimento dei risultati sarà bene considerare il carico di 8 Ohm nominali come se fosse da 6 Ohm reali. E 25-26 volt su questo carico richiedono, abbondando un po', una erogazione di circa 4,5 Ampere, che si traducono in una potenza di uscita media di quasi 60 Watt.
Tensione e corrente di uscita sono i primi dati necessari ma non ancora sufficienti che ci servono per dimensionare l'alimentatore e fare una prima stima di quanta potenza dovremo dissipare in calore - amplificando segnali musicali REALI e non soltanto segnali sinusoidali di prova, che forniscono una stima alle volte un po' troppo ottimista (e comoda...). Gli ulteriori dati che ci servono sono: 1) L'impedenza d'uscita effettiva dell'alimentatore equipaggiato con una data capacità di livelllamento e funzionante a una ben definitiva frequenza di commutazione dei rettificatori - ovvero il doppio della frequenza di rete visto che la stragrandissima maggioranza di essi rettificano a onda intera; 2) le resistenze in serie al carico di uscita (in particolare quelle di emettitore). Dei due, il contributo più importante è il primo ma il secondo, soprattutto se si pilotano anche carichi da 4 Ohm nominali, non è affatto trascurabile.

Calcolare il primo contributo non è difficile purchè si tenga conto di una peculiarità degli alimentatori di rete che quasi mai evidenziata e cioè il loro essere dei circuiti a capacità commutata, ovvero un circuito in cui esistono due distinte fasi, quella di carica e di scarica dei condensatori di livellamento, in cui ciò che realmente definisce la loro impedenza operativa è definita dai tempi di scarica di tali condensatori (definiti dall'assorbimento di corrente dello stadio finale), dalla loro frequenza di ricarica (il doppio della frequenza di rete, come abbiamo già detto prima) e, buon ultimo, anche dai tempi di ricarica (che sono definiti essenzialmente, a parità di condensatori, dall'insieme delle impedenze parassite a monte del rettificatore e dalla resistenza serie offerta dai diodi di quest'ultimo).

Supponendo un'alimentazione duale (quella oggi più usata nei finali a stato solido) equipaggiata, nel nostro caso, con circa 15.000+15.000 uF per canale, una stima dei fattori che contribuiscono a maggiorare la tensione di alimentazione può essere valutata grosso modo come segue:

1) Contributi resistivi statici (resistenze di emettitore e resistenze di avvolgimento dei trasformatori) = 0.2 Ohm per ramo di alimentazione + 0.1 Ohm di avvolgimenti (valore forfettario da affinare tramite misure sui trasformatori realmente disponibili)

2) Caduta di tensione del ponte raddrizzatore = 2-3 Volt. Questo perchè lavorando sempre durante i picchi di corrente di ricarica, tali diodi sono soggetti al transito di correnti istantanee che sono sempre almeno di alcuni ampere anche in assenza di segnale.

3) La resistenza equivalente dei condensatori di livellamento visti come capacità commutate, che a 100 Hz vale 1 Ohm ogni 10.000uF (e che quindi, nel nostra caso, vale circa 0.66 Ohm).

4) Le cadute di tensione dovute alla ESR dei condensatori e dei collegamenti tra di essi. Un condensatore da 15.000 uF di buona qualità (Kendeil o BHC per esempio) esibisce una ESR di circa 18 mOhm ma tre condensatori da 4.700 uF costruiti con la stessa tecnologia, esibiscono insieme una ESR di meno di 10 mOhm (a cui vanno aggiunti alcuni mOhm per le interconnessioni tra loro). Ed è questo il motivo principale per cui, a parità di valore totale, più condensatori elettrolitici posti in parallelo si comportano dinamicamente meglio di un unico condensatore.

Il totale di questi contributi ci dà: 4.5A * (0.22+0.1+0.02+0.66) = 4.5 Volt di ripple a piena corrente di uscita che, assieme ai 2-3 Volt di caduta sul raddrizzatore, portanno a maggiorare i nostri 26 Volt di uscita fin quasi a 33 Volt a vuoto, che sono già un bel salto in alto! Ma non abbiamo ancora finito: a questi 7 Volt di maggiorazione dobbiano aggiungere ancora la caduta di tensione dovute alle Vbe dello stadio finale che, nel caso di una cascata di due stadi in Darlington, ammonta a circa 1.6 Volt per ramo di alimentazione. Il totale che finalmente possiamo utilizzare si aggira intorno agli 8-9 Volt di maggiorazione che ci portano a fissare la tensione di alimentazione a vuoto a circa 35 Volt, che ci permettono di sceglierci un trasformatore standard da 25+25 VAC - 5 Ampere per canale. Sono in effetti 500 VA per un finale stereo che ci fanno capire come i tanto millantati "trasformatori generosamente dimensionati" - il mondo audio è pieno di babbi natale, vero? ;-) - siano in realtà dimensionati semplicemente il giusto qualora alla potenza di targa corrisponda anche l'effettiva potenza di esercizio.

Abbiamo ora tutti gli elementi per calcolare finalmente la dissipazione dei finali: la corrente di uscita che avevamo ottenuto fin da subito e la tensione di alimentazione complessiva che siamo riusciti ad ottenere solo ora. Arrotondando tutto a 5 Ampere di uscita con 35 volt di alimentazione a vuoto, la potenza da dissipare vale:

Pdiss = (35 x 5)/4 = 43.75 Watt
che arrotondiamo tranquillamente a 45 Watt. Tale potenza è decisamente maggiore di quella che si ottiene con calcoli più "accademici" ma è anche più realistica: essa corrisponde alla massima potenza dissipabile su carico resistivo e indipendente dalla composizione del segnale, che può essere (come in genere quello musicale è) veramente qualsiasi.
45 Watt di disspazione però sono un po' troppi per una coppia sola di MJ3281-1302, soprattutto se si vuole poter pilotare continuamente anche diffusori di impedenza reale (cioè non seplicemente resistiva) prossima o inferiore a i 4 Ohm. In queste ultime condizion anzi conviene maggiorare le capacità di dissipazione di almeno una volta e mezzo, portandoci così piuttosto vicino ai 70 Watt termici da disperdere sui radiatori.Per fronteggiare questa situazione abbiamo diverse possibilità:

1) Cercare una coppia di dispositivi in grado di dissipare da sola una potenza del genere e, se esiste con le caratteristiche qualitative richieste, usarla.

2) Usare due o più coppie di dispositivi finali, e relative complicazioni progettuali e costruttive.

3) Tenersi una sola coppia di dispositivi e limitare le possiiblità che non solo si trovino a lavorare in situazioni pericolose ma soprattutto che vi si trovino a lavorare a lungo. Questa, normalmente, è anche la scelta dei produttori di elettroniche audio consumer, i quali dimensionano i loro prodotti anche in base di considerazioni statistiche sul loro utilizzo effettivo, che però non hanno direttamente nulla a che fare con i problemi tecnici veri e propri. Nel nostro caso, non avendo bisogno di dar retta ad alcun "reparto marketing" che ci impone di far passare per oro ciò che si vende a prezzo dell'ottone, ce la caveremo nella maniera più diretta, semplice e seria possibile: se non possiamo utilizzare nient'altro che una sola coppia di finali di un certo tipo, limiteremo i nostri obiettivi a quanto realisticamente ottenibile da essa. Nel nostro caso la massima dissipazione realisticamente proponibile per gli MJ3281-1302 è, con 50°C di margine sulla temperatura ambiente e adottando comunque un signor dissipatore da 1 °C/W per Ohm, di 38 Watt spremuti da una sola coppia.

Per quanto riguarda la prima opzione è sufficiente dare una scorsa ai cataloghi dei principali produttori di transistori di potenza adatti come finali audio per rendersi conto che le capacità di dissipazione della coppia che stiamo considerando sono molto prossime al massino ottenibile dai transistori montati nei contenitori plastici oggi più comuni. E anche con i transistor classici più performanti in TO3 della Motorola, che arrivavano a dichiarare 300 Watt dissipabili dal contenitore, una volta montati su un dissipatore reale le loro capacità concrete di dissipazione si riducono, nel migliore dei casi e usando disspatori piuttosto "invadenti", a poco più di 100 Watt, per un costo alla coppia che è pari almeno a tre e mezzo quello della MJ3281-1302 (oltre trenta euro contro nove!). In queste condizioni semplicemente non c'è partita per alcun tipo di "supercoppia"

Le opzioni rimanenti, raddoppiare il numero di dispositivi finali o diminuire la potenza di uscita, sono legate all'uso effettivo che si intende fare del finale: la prima è indicata per una realizzazione per uso professionale in cui deve essere assicurata la continuità di esercizio quale che sia la sua gravosità, mentre la seconda è più indicata per un utilizzo domestico. Per i nostri fini ludici e didattici, considereremo la prima opzione per una versione "top" del finale la seconda per una versione "sfigato level" - pardon, ENTRY level! ;-). Andiamo a incominciare rifacendo i conti ripartendo proprio dalla massima dissipazione consentita da due coppie di transistori di uscita.

Il finale "top" che (si spera...) non toppa! :-)

Usare due coppie di finali, se non vengono raddoppiati anche i dissipatori, non raddoppiano certo la potenza dissipata ma, più ragionevolmente, consentono di dissipare con maggior tranquillità e con più ampio margine di sicurezza quella che era comunque da dissipare. Nella maggior parte delle situazioni, in cui il raddoppio si limita ai soli transistori finali rimanendo invariato tutto il resto, il solo parametro termico che si dimezza è la resistenza termica tra la giunzione e il dissipatore; quanto questo risulti efficace dipende soprattutto dall'importanza che riveste il suo contributo rispetto a quello del dissipatore vero e proprio: più quest'ultimo si riduce e più si fa sensibile il vantaggio dovuto all'incremento dei finali utilizzati.

Nel nostro caso possiamo ipotizzare di disporre per ciascun canale di un dissipatore da 1 °C/W per canale e di un altro, più voluminoso, di 0.5 °C/W. Sapendo che i transistori racchiusi in contenitori plastici resinati limitano la loro massima temperatura di giuzione a 150 °C (oltre vi è il pericolo che le resine producano dei gas con conseguente pericolo di esplosione del contenitore - pericolo inesistente nei vecchi contenitori metallici, che potevano così spingersi fino a 200 °C di temperatura di giunzione), e prendendoci come margine di sicurezza circa 50 °C di temperatura ambientale (che, in caso di dissipatori totalmente inscatolati, rappresenta un margine non eccessivamente generoso, anzi!), abbiamo in assenza di altri contributi, la possibilità di dissipare 100 Watt termici nel primo caso e 200 nel secondo. Una possibilità puramente utopistica come vedremo subito: gli "altri contributi" sono ben vivi e vegeti e prontissimi a ridimensionare le nostre pretese in merito!
Il primo di questi contributi consiste nella resistenza termica tra giunzione e contenitore del transistore, che per la coppia da noi prescelta vale 0.625 °C/W. A questo va aggiunto il secondo contributo, la resistenza tra contenitore e dissipatore, che varia a seconda del fatto che il montaggio sia diretto o isolato e in questo secondo caso dipende anche al tipo di isolatore utilizzato. Poichè a noi serve un montaggio isolato, terremo conto solo dei valori per quest'ultimo caso. che in media vale circa 1 °C/W anche se si possono ottenere valori migliori. In questo modo abbiamo un totale di 1,625 °C/W, che già da solo limita le nostre pretese a poco più di 60 Watt termici la coppia. Sommandogli la resistenza termica dei dissipatori che abbiamo preso prima ad esempio otteniamo una limitazione ancora più drastica: 38 Watt termici con quello da 1 °C/W e 47 Watt termici con quello da 0.5 °C/W. Veramente con una coppia sola non c'è molto da scialare!
La situazione però migliora parecchio se raddoppiamo i transistori finali; in questo caso il contributo complessivo esistente tra giunzione e dissipatore si riduce da 1,625 a 0.8125, che arrotondiamo a 0.8 (avendo prima utilizzato un valore alto di resistenza termica degli isolatori possiamo ora permetterci un arrotondamento per difetto "migliorativo"). Questo contributo, sommato nuovamente a quello dei dissipatori ci fornisce 55 Watt con il radiatore da 1 °C/W e ben 77 Watt termici con quello da 0.5 °C/W.
Per amor di confronto possiamo anche calcolare il caso di tre coppie (il cui costo complessivo si avvicina molto a quello delle "supercoppie" classiche da 300 Watt della Motorola). In questo caso il contributo giunzione-dissipatore si riduce a un terzo (circa 0.54 °C/W), che sommato ai dissipatori di prima forniscono rispettivamente 65 Watt e 96 Watt termici dissipabili. La "supercoppia" citata prima (la 2N5684-2N5686) pur essendo avvantaggiata da una resistenza termica giunzione contenitore minore (0.584 °C/W) e di una resistenza termica degli isolatori che tipicamente si aggira attorno agli 0.8 °C/W, trae gran parte del suo relativo vantaggio dall'avere come limite massimo 200 anzichè 150 °C di temperatura di giunzione. Questa coppia consente di dissipare con i dissipatori che stiamo utilizzando come esempio e con il margine di 50 °C sulla temperatura ambiente, rispettivamente 63 Watt e 79 Watt nel primo e nel secondo caso. Tenendo conto che TRE coppie di MJ3281-1302 costano circa 27-28 euro contro i quasi 32 euro richiesti da UNA sola coppia di 2N5684-2N5686, è evidente quanto queste ultime siano ormai obsolete e fuori mercato.

Visto che abbiamo già "esagerato" passando da una a due coppie, esageriamo pure adottando un dissipatore per ciascun canale da 0.5 °C/W che, ottimizzando appena l'interfaccia termica dell'isolatore, ci consente di dissipare 80 Watt tondi per canale. Vediamo ora (o meglio rivediamo) da vicino cosa possiamo farcene. Partiamo anzitutto dal fatto che 80 Watt dissipati su carico resistivo corrispondono, come potenza di picco, a quattro volte tanto ovvero a 320 Watt. Quest'ultima potenza (a cui teoricamente,su carico resistivo corrispondono 160 Watt di potenza media) è in pratica tale da permetterci di dimensionare il nostro finale fino al punto di consentirgli di pilotare continuativamente carichi resistivi di 3 Ohm minimi e quindi anche diffusori da 4 Ohm nominali purchè progettati con criterio. Qui di seguito "l'algoritmo" pratico da me usato per dimensionare, nota la massima potenza dissipabile e il carico minimo collegabile all'uscita dell'amplificatore:

1) Si maggiora il carico di uscita di 2 Ohm per tener buon conto delle varie perdite che, nell'esempio di calcolo precedente, ci hanno costretto a maggiorare la tensione di alimentazione di ciascun ramo per ottenere la tensione di uscita che ci eravamo prefissi come obiettivo (e che qui invece otterremo direttamente come risultato finale). Nel nostro caso si passa da 3 a 5 Ohm - e vale la pena di far ri-notare come un incremento del genere, pur non particolarmente contenuto, richiede già la presenza di un bel paio di "lattine" nell'alimentatore di CIASCUN canale.

2) SI calcola la corrente di picco richiesta dal carico alla massima potenza come se questa fosse erogata "senza perdite" appunto su un carico di 5 Ohm. Nel nostro caso vale:

Sqrd(320/5) = 8 Ampere

dove con "Sqrd" si intende l'operazione di estrazione di radice quadrata di un numero.

3) La corrente risultante - 8 Ampere, una corrente da rispettare con estrema solennità se non si vuole che finiscano per cuocere tutto quanto del nostro finale! - va di nuovo elevata al quadrato e moltiplicata per l'impedenza effettiva del carico. Nel nostro abbiamo (64*3)/2 = 96 Watt di potenza media su 3 Ohm. Una SIGNORA potenza di uscita.

Gli ultimi due passaggi (che sono due solo a scopo di maggior chiarezza didattica) possono essere condensati in un passaggio solo: (320*3)/(5*2) = 96 con il netto vantaggio di saltare a pie pari le operazioni di estrazione di radice quadrata prima e rielevazione al quadrato poi.
Tuttavia la prima forma ci torna generalmente più utile in quanto ci consente di ricavare la massima corrente di picco in uscita per cui dobbiamo dimensionare il nostro finale, e anche la sua massima tensione di picco teorica che possiamo aspettarci all'uscita senza alcun carico connesso. La corrente l'abbiamo già ottenuta prima (8 Ampere di picco) mentre la massima tensione la ricaviamo facilmente moltiplicando l'impedenza di carico minima "maggiorata" per detta corrente. Nel nostro caso otteniamo un più che rispettabile 5*8 = 40 Volt di picco.Questa tensione ci torna utile per calcolare la potenza anche sugli altri carichi, che andranno sempre maggiorati preventivamente di 2 Ohm (che, per quanto riguarda la disponibilità di potenza, andrà vista come una vera e propria "impedenza interna" dell'amplificatore vista dal carico come se fosse un generatore di potenza qualsiasi, inteso qui in un senso più "elettrotecnico" che non elettronico).
Nel nostro caso ci interessa sapere quanto "brodo" viene fuori quando al nostro finale sono connessi carichi di 2, 3, 4, 6 e 8 Ohm. E i conti sono presto fatti.

Pout su 2 Ohm: exp(40/(2+2))*(2/2) = 100 Watt

Pout su 3 Ohm: exp(40/(3+2))*(3/2) = 96 Watt

Per puntare a ottenere circa 40 Watt indistorti su 8 Ohm nominali dobbiamo disporre di circa 25-26 Volt di PICCO all'uscita che andranno maggiorati delle cadute di tensione che si hanno a piena potenza sull'alimentatore e sui resistori di emettitore. Inoltre, come già accennato agli inizi di questo lungo articolo, per una migliore garanzia di conseguimento dei risultati sarà bene considerare il carico di 8 Ohm nominali come se fosse da 6 Ohm reali. E 25-26 volt su questo carico richiedono, abbondando un po', una erogazione di circa 4,5 Ampere, che si traducono in una potenza di uscita media di quasi 60 Watt.
Tensione e corrente di uscita sono i primi dati necessari ma non ancora sufficienti che ci servono per dimensionare l'alimentatore e fare una prima stima di quanta potenza dovremo dissipare in calore - amplificando segnali musicali REALI e non soltanto segnali sinusoidali di prova, che forniscono una stima alle volte un po' troppo comodamente ottimista. Gli ulteriori dati che ci servono sono: 1) L'impedenza d'uscita effettiva dell'alimentatore equipaggiato con una data capacità di livelllamento e funzionante a una ben definitiva frequenza di commutazione dei rettificatori - ovvero il doppio della frequenza di rete visto che la stragrandissima maggioranza di essi rettificano a onda intera; 2) le resistenze in serie al carico di uscita (in particolare quelle di emettitore). Dei due, il contributo più importante è il primo ma il secondo, soprattutto se si pilotano anche carichi da 4 Ohm nominali, non è affatto trascurabile.

Calcolare il primo contributo non è difficile purchè si tenga conto di una peculiarità degli alimentatori di rete che quasi mai evidenziata e cioè il loro essere dei circuiti a capacità commutata, ovvero un circuito in cui esistono due distinte fasi, quella di carica e di scarica dei condensatori di livellamento, in cui ciò che realmente definisce la loro impedenza operativa è definita dai tempi di scarica di tali condensatori (definiti dall'assorbimento di corrente dello stadio finale), dalla loro frequenza di ricarica (il doppio della frequenza di rete, come abbiamo già detto prima) e, buon ultimo, anche dai tempi di ricarica (che sono definiti essenzialmente, a parità di condensatori, dall'insieme delle impedenze parassite a monte del rettificatore e dalla resistenza serie offerta dai diodi di quest'ultimo).

Supponendo un'alimentazione duale (quella oggi più usata nei finali a stato solido) equipaggiata, nel nostro caso, con circa 15.000+15.000 uF per canale, una stima dei fattori che contribuiscono a maggiorare la tensione di alimentazione può essere valutata grosso modo come segue:

1) Contributi resistivi statici (resistenze di emettitore e resistenze di avvolgimento dei trasformatori) = 0.2 Ohm per ramo di alimentazione + 0.1 Ohm di avvolgimenti (valore forfettario da affinare tramite misure sui trasformatori realmente disponibili)

2) Caduta di tensione del ponte raddrizzatore = 2-3 Volt. Questo perchè lavorando sempre durante i picchi di corrente di ricarica, tali diodi sono soggetti al transito di correnti istantanee che sono sempre almeno di alcuni ampere anche in assenza di segnale.

3) La resistenza equivalente dei condensatori di livellamento visti come capacità commutate, che a 100 Hz vale 1 Ohm ogni 10.000uF (e che quindi, nel nostra caso, vale circa 0.66 Ohm).

4) Le cadute di tensione dovute alla ESR dei condensatori e dei collegamenti tra di essi. Un condensatore da 15.000 uF di buona qualità (Kendeil o BHC per esempio) esibisce una ESR di circa 18 mOhm ma tre condensatori da 4.700 uF costruiti con la stessa tecnologia, esibiscono insieme una ESR di meno di 10 mOhm (a cui vanno aggiunti alcuni mOhm per le interconnessioni tra loro). Ed è questo il motivo principale per cui, a parità di valore totale, più condensatori elettrolitici posti in parallelo si comportano dinamicamente meglio di un unico condensatore.

Il totale di questi contributi ci dà: 4.5A * (0.22+0.1+0.02+0.66) = 4.5 Volt di ripple a piena corrente di uscita che, assieme ai 2-3 Volt di caduta sul raddrizzatore, portanno a maggiorare i nostri 26 Volt di uscita fin quasi a 33 Volt a vuoto, che sono già un bel salto in alto! Ma non abbiamo ancora finito: a questi 7 Volt di maggiorazione dobbiano aggiungere ancora la caduta di tensione dovute alle Vbe dello stadio finale che, nel caso di una cascata di due stadi in Darlington, ammonta a circa 1.6 Volt per ramo di alimentazione. Il totale che finalmente possiamo utilizzare si aggira intorno agli 8-9 Volt di maggiorazione che ci portano a fissare la tensione di alimentazione a vuoto a circa 35 Volt, che ci permettono di sceglierci un trasformatore standard da 25+25 VAC - 5 Ampere per canale. Sono in effetti 500 VA per un finale stereo che ci fanno capire come i tanto millantati "trasformatori generosamente dimensionati" - il mondo audio è pieno di babbi natale, vero? ;-) - siano in realtà dimensionati semplicmente il giusto qualora alla potenza di targa corrisponda anche l'effettiva potenza di esercizio.

Abbiamo ora tutti gli elementi per calcolare finalmente la dissipazione dei finali: la corrente di uscita che avevamo ottenuto fin da subito e la tensione di alimentazione complessiva che siamo riusciti ad ottenere solo ora. Arrotondando tutto a 5 Ampere di uscita con 35 volt di alimentazione a vuoto, la potenza da dissipare vale:

Pdiss = (35 x 5)/4 = 43.75 Wattche arrotondiamo tranquillamente a 45 Watt. Tale potenza è decisamente maggiore di quella che si ottiene con calcoli più "accademici" ma è anche più realistica: essa corrisponde alla massima potenza dissipabile su carico resistivo e indipendente dalla composizione del segnale, che può essere (come in genere quello musicale è) veramente qualsiasi.
45 Watt di disspazione però sono un po' troppi per una coppia sola di MJ3281-1302, soprattutto se si vuole poter pilotare continuamente anche diffusori di impedenza reale )cioè non seplicemente resistiva) prossima o inferiore a i 4 Ohm. In queste ultime condizion anzi conviene maggiorare le capacità di dissipazione di almeno una volta e mezzo, portandoci così piuttosto vicino ai 70 Watt termici da disperdere sui radiatori.Per fronteggiare questa situazione abbiamo diverse possibilità:

1) Cercare una coppia di dispositivi in grado di dissipare da sola una potenza del genere e, se esiste con le caratteristiche qualitative richieste, usarla.

2) Usare due o più coppie di dispositivi finali, e relative complicazioni progettuali e costruttive.

3) Tenersi una sola coppia di dispositivi e limitare le possiiblità che non solo si trovino a lavorare in situazioni pericolose ma soprattutto che vi si trovi a lavorare a lungo. Questa, normalmente, è anche la scelta dei produttori di elettroniche audio consumer, i quali dimensionano i loro prodotti anche in base di considerazioni statistiche sul loro utilizzo effettivo, che però non hanno direttamente nulla a che fare con i problemi tecnici veri e propri. Nel nostro caso, non avendo bisogno di dar retta ad alcun "reparto marketing" che ci impone di far passare per oro ciò che si vende a prezzo dell'ottone, ce la caveremo nella maniera più diretta, semplice e seria possibile: se non possiamo utilizzare nient'altro che una sola coppia di finali di un certo tipo, limiteremo i nostri obiettivi a quanto realisticamente ottenibile da essa. Nel nostro caso la massima dissipazione realisticamente proponibile per gli MJ3281-1302 è, con 50°C di margine sulla temperatura ambiente e adottando comunque un signor dissipatore da 1 °C/W per Ohm, di 38 Watt spremuti da una sola coppia (*).

(*) E' importante sottolineare qui come questo tipo di stime valgano solo nel caso di amplificatore in classe B o AB non troppo fortemente polarizzata in quanto si da per scontato che i transistori dissipino potenza l'uno in alternativa all'altro. Nel caso di amplificatori uscenti in classe A, le dissipazioni termiche vanno conteggiate tenendo conto del fatto che i due transistori della coppia LAVORANO CONTEMPORANEAMENTE - in pratica nell'esempio considerato varrebbe quasi 90 Watt A RIPOSO IN ASSENZA DI SEGNALE..

Per quanto riguarda la prima opzione è sufficiente dare una scorsa ai cataloghi dei principali produttori di transistori di potenza adatti come finali audio per rendersi conto che le capacità di dissipazione della coppia che stiamo considerando sono molto prossime al massino ottenibile dai transistori montati nei contenitori plastici oggi più comuni. E anche con i transistor classici più performanti in TO3 della Motorola, che arrivavano a dichiarare 300 Watt dissipabili dal contenitore, una volta montati su un dissipatore reale le loro capacità concrete di dissipazione si riducono, nel migliore dei casi e usando disspatori piuttosto "invadenti", a poco più di 100 Watt, per un costo alla coppia che è pari almeno a tre e mezzo quello della MJ3281-1302 (oltre trenta euro contro nove!). In queste condizioni semplicemente non c'è partita per alcun tipo di "supercoppia"

Le opzioni rimanenti, raddoppiare il numero di dispositivi finali o diminuire la potenza di uscita, sono legate all'uso effettivo che si intende fare del finale: la prima è indicata per una realizzazione per uso professionale in cui deve essere assicurata la continuità di esercizio quale che sia la sua gravosità, mentre la seconda è più indicata per un utilizzo domestico. Per i nostri fini ludici e didattici, considereremo la prima opzione per una versione "top" del finale la seconda per una versione "sfigato level" - pardon, ENTRY level! ;-). Andiamo a incominciare rifacendo i conti ripartendo proprio dalla massima dissipazione consentita da due coppie di transistori di uscita.

Il finale "top" che (si spera...) non toppa! :-)

Usare due coppie di finali, se non vengono raddoppiati anche i dissipatori, non raddoppiano certo la potenza dissipata ma, più ragionevolmente, consentono di dissipare con maggior tranquillità e con più ampio margine di sicurezza quella che era comunque da dissipare. Nella maggior parte delle situazioni, in cui il raddoppio si limita ai soli transistori finali rimanendo invariato tutto il resto, il solo parametro termico che si dimezza è la resistenza termica tra la giunzione e il dissipatore; quanto questo risulti efficace dipende soprattutto dall'importanza che riveste il suo contributo rispetto a quello del dissipatore vero e proprio: più quest'ultimo si riduce e più si fa sensibile il vantaggio dovuto all'incremento dei finali utilizzati.

Nel nostro caso possiamo ipotizzare di disporre per ciascun canale di un dissipatore da 1 °C/W per canale e di un altro, più voluminoso, di 0.5 °C/W. Sapendo che i transistori racchiusi in contenitori plastici resinati limitano la loro massima temperatura di giuzione a 150 °C (oltre vi è il pericolo che le resine producano dei gas con conseguente pericolo di esplosione del contenitore - pericolo inesistente nei vecchi contenitori metallici, che potevano così spingersi fino a 200 °C di temperatura di giunzione), e prendendoci come margine di sicurezza circa 50 °C di temperatura ambientale (che, in caso di dissipatori totalmente inscatolati, rappresenta un margine non eccessivamente generoso, anzi!), abbiamo in assenza di altri contributi, la possibilità di dissipare 100 Watt termici nel primo caso e 200 nel secondo. Una possibilità puramente utopistica come vedremo subito: gli "altri contributi" sono ben vivi e vegeti e prontissimi a ridimensionare le nostre pretese in merito!
Il primo di questi contributi consiste nella resistenza termica tra giunzione e contenitore del transistore, che per la coppia da noi prescelta vale 0.625 °C/W. A questo va aggiunto il secondo contributo, la resistenza tra contenitore e dissipatore, che varia a seconda del fatto che il montaggio sia diretto o isolato e in questo secondo caso dipende anche al tipo di isolatore utilizzato. Poichè a noi serve un montaggio isolato, terremo conto solo dei valori per quest'ultimo caso. che in media vale circa 1 °C/W anche se si possono ottenere valori migliori. In questo modo abbiamo un totale di 1,625 °C/W, che già da solo limita le nostre pretese a poco più di 60 Watt termici la coppia. Sommandogli la resistenza termica dei dissipatori che abbiamo preso prima ad esempio otteniamo una limitazione ancora più drastica: 38 Watt termici con quello da 1 °C/W e 47 Watt termici con quello da 0.5 °C/W. Veramente con una coppia sola non c'è molto da scialare!
La situazione però migliora parecchio se raddoppiamo i transistori finali; in questo caso il contributo complessivo esistente tra giunzione e dissipatore si riduce da 1,625 a 0.8125, che arrotondiamo a 0.8 (avendo utilizzto un valore alto di resistenza termica degli isolatori possiamo permetterci un arrotondamento per difetto "migliorativo"). Questo contributo, sommato nuovamente a quello dei dissipatori ci fornisce 55 Watt con il radiatore da 1 °C/W e ben 77 Watt termici con quello da 0.5 °C/W.
Per amor di confronto possiamo anche calcolare il caso di tre coppie (il cui costo complessivo si avvicina molto a quello delle "supercoppie" classiche da 300 Watt della Motorola). In questo caso il contributo giunzione-dissipatore si riduce a un terzo (circa 0.54 °C/W), che sommato ai dissipatori di prima forniscono rispettivamente 65 Watt e 96 Watt termici dissipabili. La "supercoppia" citata prima (la 2N5684-2N5686) pur essendo avvantaggiata da una resistenza termica giunzione contenitore minore (0.584 °C/W) e di una resistenza termica degli isolatori che tipicamente si aggira attorno agli 0.8 °C/W, trae gran parte del suo relativo vantaggio dall'avere come limite massimo 200 anzichè 150 °C di temperatura di giunzione. Questa coppia consente di dissipare con i dissipatori che stiamo utilizzando come esempio e con il margine di 50 °C sulla temperatura ambiente, rispettivamente 63 Watt e 79 Watt nel primo e nel secondo caso. Tenendo conto che tre coppie di MJ3281-1302 costano circa 27-28 euro contro i quasi 32 euro richiesti da una sola coppia di 2N5684-2N5686, è evidente quanto queste ultime siano ormai obsolete e fuori mercato.

Visto che abbiamo già "esagerato" passando da una a due coppie, esageriamo pure adottando un dissipatore per ciascun canale da 0.5 °C/W che, ottimizzando appena l'interfaccia termica dell'isolatore, ci consente di dissipare 80 Watt tondi per canale. Vediamo ora(o meglio rivediamo) da vicino cosa possiamo farcene. Partiamo anzitutto dal fatto che 80 Watt dissipati su carico resistivo corrispondono, come potenza di picco, a quattro volte tanto ovvero a 320 Watt. Quest'ultima potenza (a cui teoricamente,su carico resistivo corrispondono 160 Watt di potenza media) è in pratica tale da permetterci di dimensionare il nostro finale fino al punto di consentirgli di pilotare continuativamente carichi resistivi di 3 Ohm resistivi e quindi anche diffusori da 4 Ohm nominali purchè progettati con criterio. Qui di seguito "l'algoritmo" pratico da me usato per dimensionare, nota la massima potenza dissipabile e il carico minimo collegabile all'uscita dell'amplificatore:

1) Si maggiora il carico di uscita di 2 Ohm per tener buon conto delle varie perdite che, nell'esempio di calcolo precedente, ci hanno costretto a maggiorare la tensione di alimentazione di ciascun ramo per ottenere la tensione di uscita che ci eravamo prefissi come obiettivo (e che qui invece otterremo direttamente come risultato finale). Nel nostro caso si passa da 3 a 5 Ohm - e vale la pena di far ri-notare come un incremento del genere, pur non particolarmente contenuto, richiede già la presenza di un bel paio di "lattine" nell'alimentatore di CIASCUN canale.

2) SI calcola la corrente di picco richiesta dal carico alla massima potenza come se questa fosse erogata "senza perdite" appunto su un carico di 5 Ohm. Nel nostro caso vale:

Sqrd(320/5) = 8 Ampere

dove con "Sqrd" si intende l'operazione di estrazione di radice quadrata di un numero.

3) La corrente risultante - 8 Ampere, una corrente da rispettare con estrema solennità se non si vuole che finiscano per cuocere tutto quanto del nostro finale! - va di nuovo elevata al quadrato e moltiplicata per l'impedenza effettiva del carico. Nel nostro abbiamo (64*3)/2 = 96 Watt di potenza media su 3 Ohm. Una SIGNORA potenza di uscita.

Gli ultimi due passaggi (che sono due solo a scopo di maggior chiarezza didattica) possono essere condensati in un passaggio solo: (320*3)/(5*2) = 96 con il netto vantaggio di saltare a pie pari le operazioni di estrazione di radice quadrata prima e rielevazione al quadrato poi.
Tuttavia la prima forma ci torna generalmente più utile in quanto ci consente di ricavare la massima corrente di picco in uscita per cui dobbiamo dimensionare il nostro finale, e anche la sua massima tensione di picco teorica che possiamo aspettarci all'uscita senza alcun carico connesso. La corrente l'abbiamo già ottenuta prima (8 Ampere di picco) mentre la massima tensione la ricaviamo facilmente moltiplicando l'impedenza di carico minima "maggiorata" per detta corrente. Nel nostro caso otteniamo un più che rispettabile 5*8 = 40 Volt di picco.Questa tensione ci torna utile per calcolare la potenza anche sugli altri carichi, che andranno sempre maggiorati preventivamente di 2 Ohm (che, per quanto riguarda la disponibilità di potenza, andrà vista come una vera e propria "impedenza interna" dell'amplificatore vista dal carico come se fosse un generatore di potenza qualsiasi, inteso qui in un senso più "elettrotecnico" che non elettronico).
Nel nostro caso ci interessa sapere quanto "brodo" viene fuori quando al nostro finale sono connessi carichi di 2, 3, 4, 6 e 8 Ohm. E i conti sono presto fatti.

Pout su 2 Ohm: exp(40/(2+2))*(2/2) = 100 Watt

Pout su 3 Ohm: exp(40/(3+2))*(3/2) = 96 Watt
Pout su 4 Ohm: exp(40/(4+2))*(4/2) = 89 Watt
Pout su 6 Ohm: exp(40/(6+2))*(6/2) = 75 WattPout su 8 Ohm: exp(40/(8+2))*(8/2) = 64 Wattdove "exp" va inteso come "elevazione al quadrato" dei termini racchiusi tra parentesi.

La cosa più interessante che emerge è che, contrariamente a quello che ci hanno abituato a credere le riviste per decenni, non esiste alcun raddoppio di potenza al dimezzarsi dell'impedenza di carico NEMMENO a livello di conti fatti a tavolino! Il "raddoppio" è e non è mai stato altro che una leggenda per bambini più o meno alla pari con la storia delle cicogne ma con la grossa differenza che ad essa hanno creduto tantissime persone a un'età a cui alle cicogne non ci credeva più nessuno! :-). In effetti la realtà ha ancora una sorpresa in serbo. Proviamo a calcolare la potenza massima di uscita con un carico di 1 Ohm:

Pout su 1 Ohm: exp(40/(1+2))*(1/2) = 89 Watt

Ovvero, quando l'impedenza di carico scende al di sotto dell'impedenza interna del circuito, la potenza di uscita non solo smette di crescere ma comincia pure a diminuire! Nel nostro caso 100 Watt continui su 2 Ohm sono il massimo che possiamo realmente spremere da questo finale. Vedremo ora in dettaglio, alla luce di quanto appena detto, quella che a buon diritto può essere considerata la bubbola del secolo, che riesce ad essere allo stesso tempo tecnicamente ineccepbile eppure totalmente menzognera: la "potenza impulsiva".

Ciò che viene chiamata potenza impulsiva si riferisce ad una condizione assolutamente impraticabile nella realtà, quella di avere di fatto condensatori di livellamento illimitati o quasi oppure di utilizzare quelli effettivamente presenti per un tempo così breve (qualche millisecondo) da non dare loro alcuna possiiblità effettiva di scaricarsi e di ridurre significativamente la tensione presente ai loro capi. Un utilizzo che, dal punto di vista dell'ascolto musicale, è privo di qualsiasi senso pratico.
Ciò equivale, rispetto ai calcoli di esempio appena fatti, maggiorare il carico non più con una resistenza interna di generatore equivalente pari a 2 Ohm ma pari a 1 Ohm soltanto che, prendendo ad esempio la potenza erogabile su un carico esterno di 4 Ohm, ci porta a ottenere:

Pout "impulsiva" su 4 Ohm : exp(40/(4+1))*(4/2) = 128 Watt

potenza ben più elevata di quella trovata prima sullo stesso carico (89 Watt). Peccato che sia puramente chimerica, letteralmente costruita dalla procedura di misura ma inesistente nelle condizioni di utilizzo reale. Tenetelo ben presente le volte che qualcuno vi parlerà di "potenza impulsiva": anche perchè detta in questi termini si può anche dire che la "potenza impulsiva" di uno starnuto è direttamente confrontabile con la spinta di un motore di 747 in fase di decollo... ma provate a far decollare il bestione a starnuti e poi ne riparliamo! :-).

Dopo queste considerazioni possiamo fare un ultimo giro di verifica circa l'idoneità della (doppia) coppia da noi scelta e passare oltre. Anzitutto, per diminuire un po' lo stress del nostro finale e aumentare il margine di sicurezza, i condensatori di livellamento li limiteremo a circa 10.000 uF, fissando così il loro contibuto all'impedenza d'uscita dell'alimentatore a circa 1 Ohm; in tal modo la maggiorazione di 2 Ohmdel carico che abbiamo utilizzato per i nostri conti corrisponderà più da vicino a quella reale introdotta dall'insieme di perdite interne a tutta la sezione di potenza del finale, comprensiva di alimentatore e stadio di uscita. In queste condizioni ci interessa verificare il dato di dissipazione più gravoso a cui può andare incontro il circuito, quello su 2 Ohm resistivi:

PdissMax = exp(Valim)/(2+2)*4) = 1600/16 = 100 Watt termici

valore superiore di ben 20 Watt alle capacità di dissipazione della doppia coppia di MJ3281-MJ1302 che ci impone di considerare questa situazione solo come transitoria e da tenere sotto stretta sorveglianza con adeguati sistemi di protezione.

Rivediamo ora le nostre pretese rispetto all'alimentatore, osserviamo come 40 Volt per ramo di tensione di alimentazione al picco di ricarica con il massimo assorbimento nominale, significano il disporre di un trasformatore in grado di erogare, alla tensione di 32+32 Volt in alternata, circa 12 Ampere da spartirsi su entrambi i canali in funzione. Un trasformatore da oltre 750 VA che, ancora una volta, lungi dall'essere "generosamente dimensionato", è semplicemente il necessario per fare un amplificatore realmente in grado di onorare i suoi dati di targa.

Lo schema del solo stadio d'uscita (privo di tutto quello che lo deve precedere: driver, VAS ecc.) lo si può vedere nella figura sottostante. Nello schema è incluso, con la sola eccezione del trasformatore di rete, anche l'alimentatore dedicato ai transistor finali in quanto questi ultimi, alla fine della fiera, fungono semplicemente da modulatori dell'energia fornita dalla rete elettrica e accumulata dentro i condensatori di livellamento.

Rispetto a quanto si incontra solitamente negli schemi elettrici degli amplificatori commerciali, questo ha almeno tre particolarità degni di nota:

1) L'utilizzo di resistenze in serie alle basi dei finali che migliorano sia la stabilità termica dell'insieme sia soprattutto l'accoppiamento tra i transistori posti in parallelo. Mentre le resistenze in serie agli emettitori impediscono a ciascun transistor di assorbire troppa corrente surriscaldandosi, quelle in serie alle basi impediscono che i transistori lavorino con correnti troppo diverse tra loro. Infatti, alla relativa parità di temperatura di lavoro dovuta al fatto di essere montati sullo stesso dissipatore, se uno dei transistor tende ad assorbire più corrente, aumenta anche la sua corrente di base che, aumentando la caduta sulla resistenza in serie ad essa, dimiuisce la Vbe totale disponibile costringendolo così a ridurre il suo assorbimento. L'espediente, per vari motivi meno efficace della stabilizzazione esercitata dalle resistenze di emettitore, viene comunque in aiuto, con più coppie connesse in parallelo, sia della retroazione operata sugli emettitori sia del controllo di deriva termica messo in atto dal regolatore di Vbe.

2) L'assenza di una connessione galvanica diretta della massa del circuito elettrico con gli avvolgimenti del trasformatore, che finisce così per trovarsi effettivamente scollegato dal circuito quando i rettificatori - un ponte per ramo - sono interdetti.

3) L'impiego di reti "snubber" (letteralmente "arrotonda-spigoli") prima e dopo i rettificatori che non solo isolano il circuito amplificatore dalle porcherie ad alta frequenza presenti sulla rete elettrica ma impediscono a questo e ai rettificatori stessi di immetterne in circolo a loro volta.

Vi sarebbe, nel caso di utilizzo di più coppie di finali, anche la possibilità di usare per ciascuna coppia resistenze di emettitore leggermente differenti allo scopo di diversificarme i punti di passaggio per lo zero e "stemperare" così la distorsione di incrocio; in questo caso ho preferito non sfruttare tale possibilità in quanto la presenza delle resistenze in serie alle basi dei finali contribuisce già a differenziare leggermente il passaggio per lo zero delle due coppie impiegate.

I condensatori di livellamento nell'alimentatore

Nello schema è rappresentato solo un condensatore di livellamento per ramo di alimentazione, una soluzione largamente usata ma che è ottimale solo se si riesce a garantire l'uguaglianza delle loro capacità e della loro ESR. In caso contrario (cioè quasi sempre!) conviene "spezzettare" questo unico condensatore in più condensatori che garantiscano statisticamente una maggiore uniformità di valori tra i due rami sia per quanto riguarda la capacità sia per quanto riguarda la ESR.
Un esempio basato su dei buoni condensatori di produzione nazionale (Kendeil) ci aiuterà a chiarirci le idee in merito. Un condensatore da 10.000 uF da 63 Volt esibisce una ESR di 21 mOhm (18 nel caso si adotti la versione più lunga, 79 mm di altezza contro 60), che è di per sè un buon valore. Adottando però al posto di un solo condensatore due da 4.700 uF sempre per 63 Volt di lavoro, la ESR totale (29 mOhm per ciascuno) si dimezza a meno di 15 mOhm e in più si ha la possibilità di accoppiare i condensatori (quattro per canale) in modo da minimizzare la differenza di capacità tra i due rami di alimetazione di ciascun canale.
In questo caso la diminuzione della ESR non è eclatante e anzi, a causa delle perdite introdotte dai collgamenti e dal montaggio, è da considerarsi praticamente nulla. Tale differenza però si fa decisamente più apprezzabile qualora si decida di utilizzare capacità di livellamento più cospicue; non è il nostro caso ma vale la pena di notare come già sostituendo un condensatore da 15.000 uF e 63 Volt di lavoro (15 mOhm di ESR) con tre da 4.700 uF sempre da 63 Volt, la ESR totale non solo si riduce a meno di 10 mOhm ma aumentano pure le possibilità di combinare al meglio tali condensatori (sei in tutto per canale) in modo da garantire ancor meglio una maggiore uniformità di valori di capacità tra i due rami di alimentazione.

Vi è infine un'ultima ragione che, specie in amplificatori di alta potenza, consigliano di spezzettare grossi condensatori di livellamento in altri più piccoli: la massima corrente ripetitiva di ricarica. Mentre un solo condensatore da 10.000 uF consente un picco massimo di corrente di ricarica di poco più di 10 Ampere, due condensatori da 4.700 uF ne consentono ben 12.4. E il vantaggio è ancor più netto nel caso del condensatore da 15.000 uF: sono 18.6 Ampere su tre condensatori contro poco più di 11 per un condensatore soltanto! E quale sia l'importanza di questo valore lo vedremo nel prossimo paragrafo dedicato al dimensionamento dell'alimentatore di un amplificatore di potenza a stato solido

Gli alimentatori dei finali audio a stato solido

Il tratto fondamentale che caratterizza e condiziona l'approccio agli alimentatori per finali audio a semiconduttori è il loro essere, prima di ogni altra cosa, forti erogatori di corrente, e ciò a maggior ragione se si tratta di amplificatori di alta potenza o addirittura in classe A, dove l'erogazione di corrente oltre che elevata deve pure essere continuativa.

Il funzionamento di un alimentatore composto da ponte rettificatore, condensatori di livellamento e carico utilizzatore (il trasformatore va qui considerato come stadio indipendente) nelle sue linee essenziali non presenta grandi difficoltà di comprensione, soprattutto se visto per comparti separati; le insidie reali stanno nel vedere i dettagli del suo funzionamento come un tutto unico, quale in effetti è. Abbiamo accennato qualche paragrafo sopra al fatto che i condensatori vanno visti come capacità commutate al doppio della frequenza di rete; qui ora completiamo la prospettiva vedendo tutto l'insieme come un vero e proprio alimentatore switching passivo, la cui differenza qualitativa essenziale rispetto a un alimentatore a commutazione propriamente detto consiste, più che in aspetti di per sè ovvi (frequenza di funzionamento, ingombri, perdite ecc.), proprio nel suo essere "passivo", ovvero l'essere privo di un circuito di retroazione che ne stabilizzi le prestazioni.
Negli alimentatori a commutazione il ruolo chiave è svolto da due tempi: quello di acquisizione e dell'energia e suo accumulo in un "serbatoio" adatto, e quello di rilascio della stessa al carico utilizzatore, con il primo sempre minore del secondo. A parte il differente tipo di "serbatoio" utiilizzato negli alimentatori switching veri (induttivo) rispetto a quello utilizzato normalmente negli alimentatori passivi (capacitivo e, più raramente, induttivo-capacitivo), la logica di gestione di entrambi è identica: ad una prima, rapida, fase di accumulo di energia segue una seconda fase relativamente lunga di rilascio al carico utilizzatore.

Un alimentatore passivo di rete, rispetto a uno attivo, è limitato anzitutto da due cose: il funzionare a frequenza fissa e per di più molto bassa (i 100 Hz prodotti dal rettificatore a onda intera). Poichè l'acquisizione e successivo rilascio di energia avvengono necessariamente entro il periodo di tempo corrispondente all'inverso delal frequenza, si ha che più questa è bassa, più i tempi sono lunghi e il processo relativamente inefficiente.
Questa peraltro è la ragione per cui si usano, in questi alimentatori, capacità di livellamento piuttosto cospicue: essi più che da "filtro" devono in realtà funzionare da vere e proprie batterie tampone. Ora, se dal lato del rilascio di energia questo può essere tutto sommato quasi un non-problema. le cose vanno ben diversamente sul fronte della sua acquisizione dal rettificatore: anche nei casi più blandi, le correnti richieste dalla ricarica di grossi condensatori è quasi sempre, anche a riposo, di alcuni ampere e, sotto carico di alcune decine di ampere. Questo vale ovviamente solo per gli amplificatori in classe AB; quelli in classe A sono, per gli alimentatori, un carico massimo permanente.

Per capire cosa questo significhi vale la pena di richiamare le semplici regole che formano "la legge di Ohm dei condensatori", cioè le relazioni che regolano la carica elettrica di un condensatore con la tensione ai suoi capi per il tramite del suo valore capacitivo. Eccole

(1) V = Q/C ---- (2) Q = C*V ---- (3) C = Q/V

dove: Q = I*t, ovvero la carica è rappresentata da una corrente moltiplicata per il tempo in cui scorre. Quest'ultima relazione è la vera chiave di volta per comprendere il funzionamento del tutto, che in ultima istanza si riduce alla gestione di una stessa carica "Q" su due tempi "t" diversi tra loro. Per farcene un'idea quanto più possibile chiara proviamo a fare qualche conto sull'alimentatore del nostro amplificatore, alla corrente erogata di 8 Ampere nominali per canale.
Tradotta in carica, tale corrente significa fornire, ogni centesimo di secondo, 80 milliCoulonb di carica elettrica all'utilizzatore che, su un condensatore da 10.000 uF (cioè 10 milliFarad) corrisponde a una caduta di ben 8 Volt per ramo di alimentazione (in realtà qualcosa di meno, di cui vedremo le ragioni tra poco). Questi 8 Volt corrispondono sia al valore picco-picco della tensione di ripple dell'alimentatore, sia alla massima differenza di tensione tra condensatori e radrizzatore che quest'ultimo dovrà colmare in tutti e 100 i picchi di ricarica che si verificano in un secondo. Ed è qui che ne succedono delle belle!


La figura soprastante illustra il processo di carica e scarica dei condensatori di livellamento con l'alimentatore e ben lontano dal momento della sua accensione. L'attività rilevante è tutta rappresentata dalle aree grigio scure in cima alle semionde, mentre tutto il disegno sottostante rappresenta la parte del ciclo di alimentazione in cui il ponte raddrizzatore è interdetto e che, in un alimentatore a filtraggio capacitivo regolarmente funzionante, rappresenta la parte più cospicua dell'intero ciclo. Un altro dato importante che emerge dalla figura è che la somma del tempo di carica e di scarica del condensatore (fin quando il ripple è inferiore al valore di picco della tensione rettificata), è SEMPRE pari al tempo totale 1/F, con F pari a 100 (con rete a 50 Hz) o 120 (con rete a 60 Hz). E qui si spiega il "un po' meno" precisato sopra: il ripple sul condensatore di livellamento è minore - come è minore la scarica - non solo perchè parte del centesimo di secondo in cui questo opera da volano è preso dal ciclo di ricarica ma perchè durante questo stesso ciclo, il circuito è DIRETTAMENTE ALIMENTATO DAL RADRRIZZATORE. Sulle implicazioni di questo fatto ci torneremo tra poco; al momento è più urgente calcolare, anche approssimativamente. quanto è lungo tale ciclo di ricarica in modo da poter valutare il picco di corrente che in quel frangente interessa proprio il raddrizzatore.Per portare a termine tale calcolo dobbiamo far uso di un po' di trigonometria elementare.

Anzitutto sappiamo che il picco di tensione che ogni 10 millisecondi registriamo ai capi del raddrizzatore corrispondono al momento in cui l'angolo della semi-sinusoide rettificata è pari a novanta gradi, a cui corrisponde un valore di seno pari all'unità e uno di coseno pari a zero. Questo corrisponde al momento in cui la semi-sinusoide comincia il suo cammino discendente, il raddrizzatore va in interdizione e i condensatori di livellamento iniziano il loro ciclo di scarica sull'utilizzatore (nel nostro caso l'amplificatore, il cui assorbimento, per comodità di conto, ci conviene supporre avvenga a corrente costante; un'approssimazione che peraltro, purchè sia compresa tra due picchi di ricarica e purchè si abbia a che fare - come in questo caso - con condensatori di elevata capacità, non è nemmeno troppo lontana dalla realtà).
Sappiamo anche che il raddrizzatore comincerà a ricaricare i condensatori solo quando la tensione al suo ingresso sarà pari a quella residua sui condensatori collegati alla sua uscita, maggiorata della caduta di tensione diretta presente sui suoi diodi in conduzione. Ogni tensione inferiore, corrispondendo alla fase di interdizione del raddrizzatore, corrispondere anche a un tempo da questo "perso", in cui dell'alimentatore sono attivi solo i condensatori di livellamento, e che andrà a sottrarsi al totale disponibile (10 millisecondi). Questo corrisponde a una situazione in cui quanto più è minore il ripple, tanto più saranno minori i tempi di ricarica dei condensatori e tanto più elevata risulterà la corrente istantanea equivalente che attraverserà il rettificatore... il cui "riposo" precedente diventa così una vera e propria "vittoria di Pirro". Il tempo di ricarica lo troviamo proprio sottraendo dai 10 millisecondi totali il "tempo perso" - ed è qui che per venirne a capo dobbiamo far entrare in gioco un pizzico di trigonometria.
Nel nostro caso sottraendo al picco massimo di tensione prodotto dal raddrizzatore (42 Volt, a cui corrisponde per la semisinusoide un valore di seno pari a 1) il massimo valore stimato di ripple (8 Volt, che sappiamo già essere in eccesso rispetto a quello reale) otteniamo - una volta demoltiplicato il risultato proprio per i 42 Volt di picco - il seno equivalente della parte di semi-sinusoide non utilizzata nel processo di ricarica. Ovvero sen (1-(8/42)) = 0.809 circa.

A questo punto, munendosi di una calcolatrice scientifica tascabile da al massimo 10 eirp e stando attenti a porre la calcolatrice in modo "deg", possiamo ricavarci con sufficiente approssimazione tutti i dati che ci servono per dimensionare concretamente il nostro alimentatore. La formuletta vale:

1 - arcsen (0.809)/90 = 1 - 0.6 = 0.4

che moltiplicato per 10 millisecondi ci fornisce un tempo di ricarica pari a 4 ms, circa due quinti del tempo disponibile che, usato come divisore della carica trasferita ai condensatori (80 milliCoulomb) ci fornisce un bel:

80 mC/4 mS = 20 Ampere


che corrispondono alla corrente istantanea ripetitiva "percepita" durante la ricarica sia dal rettificatore sia dagli stessi condensatori. Un valore che ci dice già che i 10 Ampere di picco di ricarica ammessi da un buon condensatore elettrolitico da 10.000 uF (e i Kendeil lo sono) sono largamente insufficienti se l'amplificatore viene usato continuativamente o, dissipzioni permettendo, addirittura in classe A. In questi ultimi casi la suddivisione dei condensatori di livellamento in altri più piccoli ma collettivamente in grado di reggere il totale della corrente di ricarica è obbligatoria senza sconti di alcun genere.

Si potrebbe pensare che In questo frangente ci possa venire incontro il fatto che i conti appena eseguiti sono errati per eccesso. Per approssimarci ai valori reali occorre tener presente infatti che la fase di scarica dei condensatori non dura 10 mS come abbiamo precedentemente sopravvalutato ma un tempo molto più vicino alla differenza tra questi e il tempo di ricarica, che è in questo caso una frazione importante del totale. Tale differenza, che vale precisamente 6 ms (0.6 * 10), in termini di carica trasferita al carico per ogni ciclo significano non più 80 milliCoulomb ma soltanto 48, con una conseguente riduzione di ripple da 8 ad appena 4.8 Volt

Se ora però rifacciamo i conti i conti con questa nuova tensione di ripple di 4.8 Volt (che, come vedremo subito, è in difetto rispetto a quella reale) otteniamo:


(1) sen "tempo perso" = 1-(4.8/42) = 0.885 circa


(2) frazione tempo di rilascio al carico = arcsen(0.885)/90 = 0.693
Carica effettivamente trasferita al carico = 80 mC * 0.693 = 55.44 mC
Nuovo ripple di picco = 55.44 mC/10mF = 5.54 Volt



(3) frazione tempo di carica condensatori = 1 - 0.693 = 0.307
Corrente istantanea di ricarica = (10/0.307)*55.44mC = 18 Ampere

che è appena meglio di prima ma che è ben lungi dal risolverci il problema. Una seconda iterazione dei conti usando il nuovo valore di ripple trovato al punto (2) ci porta a quanto segue, con risultati che, un filo più prossimi ai valori reali, confermano la sostanza dei risultati precedenti.

(1) sen "tempo perso" = 1-(5.54/42) = 0.868


(2) frazione tempo di rilascio al carico = arcsen(0.868)/90 = 0.669
Carica effettivamente trasferita al carico = 80 mC * 0.669 = 53.55 mC
Nuovo ripple di picco = 55.44 mC/10mF = 5.35 Volt


(3) frazione tempo di carica condensatori = 1 - 0.669 = 0.331
Corrente istantanea di ricarica = (0.1/0.331)*53.55mC = 16.2 Ampere

I conti appena fatti sono solo orientativi (calcoli più precisi richiedono il ricorso ad alcuni rudimenti di analisi) e tuttavia già sufficientemente indicativi nell'evidenziare come in effetti la maggior parte degli amplificatori domestici di elevata potenza "bari" - e non di poco! - nel dichiarare le caratteristiche di targa. Salvo pochissime eccezioni, al livello dei migliori McIntosh, la maggior parte degli amplificatori "consumer" non appaiono in alcun modo pensati per funzionare in modo continuativo alla massima potenza ma piuttosto a potenze di uscita decisamente più limitate, assai di rado quantificabili oltre i 25-30 Watt reali per canale.

Una situazione da valutare con lo stesso tipo di calcoli appena utilizzati è la situazione opposta a quella dell'alimentatore funzionante a piena potenza, ovvero quella relativa all'assenza di segnale in cui è presente solo la corrente di riposo. Una corrente di ripodo che nel nostro caso possiamo stimare, un po' in eccesso, attorno ai 200 mA per canale per i soli transistor finali. In questo caso il ripple stimato è, con 10.000 uF di capacità di livellamento, 200 mV di picco. Tenendo conto che ora la carica rilasciata al carico vale 2 mC vediamo dove ci porta:

(1) sen "tempo perso" = 1-(0.2/42) = 0.995


(2) frazione tempo di rilascio al carico = arcsen(0.995)/90 = 0.938
Carica effettivamente trasferita al carico = 2 mC * 0.938 = 1.9 mC
Nuovo ripple di picco = 1.9 mC/10mF = 190 mV



(3) frazione tempo di carica condensatori = 1 - 0.938 = 0.062
Corrente istantanea di ricarica = (0.1/0.062)*1.9mC = 3.1 Ampere


Una corrente di 3.1 Ampere di per sè non è certo la fine del mondo anche se è pur sempre una corrente da trattare con rispetto. Quel che qui rischia di essere MOLTO dannoso è proprio il fatto di essere una corrente IMPULSIVA e soprattutto di esistere in un contesto (l'assenza di segnale) in cui non vi è nulla in grado di mascherare i disturbi che produce se non la SVR del circuito. Ed è proprio in queste circostanze che si fa sentire il vantaggio di avere nell'alimentatore dei condensatori con basso ESR: prendendo i 18 mllihom minimi di un condensatore da 10.000 uF, una corrente di ricarica di 3.1 Ampere genera su di essi una caduta di tensione di circa 55 mV di picco, ovvero un abbondante 25 per cento in più di tensione di disturbo che si aggiungono ai 190 mV di ripple che comunque l'alimentatore, per sua stessa natura, non può fare a meno di generare. L'ironia della situazione è poi rafforzata dal fatto che questo aspetto, alle correnti di lavoro più elevate, NON è un problema (con 20 ampere di corrente di ricarica il contributo al ripple dovuto alla ESR si attesta, nel nostro caso, sui 360 mV - lo è però sotto l'aspetto dello stress termico: 360 mV per 20 Ampere fanno qualcosa più di 7 Watt che, dissipati all'interno del condensatore, finiscono letteralmente per cuocerlo in breve tempo).

In conclusione di questa parentesi sugli alimentatori capacitivi, vale la pena di ricordare tre questioni, due generiche e una relativa al tipo di amplificatore che vogliamo costruire.

1) fin quando il valore della tensione di ripple rimane ben al di sotto della massima tensione di picco fornita da raddrizzatore, una volta che è stata definita un dato livello di corrente da erogare al carico, la carica che viene a questo erogata ogni centesimo di secondo rimane sempre la stessa, a prescindere dalla capacità dei condensatori di livellamento. Da ciò consegue che, nel computo di tutti i fattori che concorrono al funzionamento dell'alimentatore, l'adozione sempre e comunque delle più alte capacità di livellamento disponibili non necessariamente porta ad un alimentatore ottimale in tutte le sue prestazioni: in particolare va tenuto conto del fatto che, mentre alti valori capacitivi aiutano a tenere bassa l'ondulazione residua sul carico, dall'altro lato della fune, cioè a carico del trasformatore, si generano picchi di corrente che non solo lo surriscaldano riducendone la vita utile, ma in ultima istanza ne riducono il rendimento a causa delle perdite ohmiche che si verificano sui suoi avvolgimenti e che potrebbero addirittura portare a ottenere una tensione raddrizzata INFERIORE a quella ottenibile con condensatori di capacità minore.

2) Durante l'accensione di un alimentatore capacitivo, in assenza di opportuni servocircuiti che sincronizzino la messa in tensione del primario del trasformatore con il passaggio per lo zero della rete elettrica, il condensatore può trovarsi caricato istantaneamente ad un valore di tensione qualsiasi compreso tra zero e il massimo valore di picco fornito dal rettificatore. Nel caso si verificasse quest'ultima evenienza il risultato sarà, nel nostro esempio, un picco di circa 420 mC di carica per ciascun condensatore, corrispondenti a ben 42 Ampere istantanei per ramo. Di questo andrà tenuto adeguato conto sia nella scelta del raddrizzatore che del tipo di condensatori di livellamento.

3) Capacità di livellamento consistenti sono necessarie solo quando, costretti a contare integralmente sulla SVRR intrinseca dell'amplificatore, è opportuno mantenere il ripple a un valore quanto più contenuto possibile. Questa necessità viene a cadere sia quando si utilizzino alimentazioni stabilizzate sia quando, come nel nostro caso, vengono utilizzate per i transistori finali e i circuiti di pilotaggio due alimentazioni separate e dedicate.

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Dopo queste ultime note possiamo finalmente passare all'argomento successivo ovvero a dicutere di quasi tutto quello che c'è "prima" dello stadio d'uscita. Sarà il tema della terza parte di questo lungo articolo.

Piercarlo
(fine seconda parte)

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