venerdì 4 gennaio 2019

Il Linsley Hood da 10 watt + JLH2012

Viene qui riproposto come articolo unico quanto originariamente proposto come due articoli separati. Del progetto proposto in cosa non vi sono poi stati ulteriori sviluppi oltre la pura e semplice realizzazione di un prototipo che, pur avendo funzionato secondo le aspettative, è stato in ogni caso accantonato... a futura memoria.

Parte I - Il Linsley-Hood da 10 watt
originale del 1969

L'oggetto di questo post, nello schema  visibile nell'immagine sottostante, è di fatto il più famoso amplificatore in classe A a stato solido mai proposto all'autocostruzione. Il suo impatto tra gli autocostruttori è stato dal punto di vista pratico perlomeno simile a quello che, in campo valvolare, ha avuto il celebre Williamson, a cui peraltro Linsley Hood si ispirò apertamente per cercare di emularne i risultati timbrici.

Di questo piccolo amplificatore a stato solido la cui fama è sopravvissuta (e sopravviverà prevedibilmente a lungo) al suo autore - scomparso a 78 anni nel marzo del 2004 - non esiste a quanto ne so alcuna analisi dettagliata del suo funzionamento se non, a negativo, quella indiretta di Douglas Self nel suo articolo "Few compliments for non complements" in cui il suo autore, cercando di evidenziarne le pecche del JLH rispetto al circuito di Lin "classico" (e più in generale rispetto al modello usuale di "operazionale di potenza"), dimostra di non aver compreso il dato essenziale: la somiglianza del circuito di Linsley Hood con "gli altri" è a malapena superficiale e di fatto con c'entra con essi un beato nulla, non fosse che per il fatto che esso è un circuito a DUE stadi e non a tre, in cui il VAS-pilota e il buffer di uscita costituiscono un unico stadio, un vero e proprio "supertransistor".

John Linsley Hood propose per la prima questo amplificatore in un articolo apparso su Wireless World dell'aprile del 1969 (con lo schema che ho riportato, tratto proprio da quell'articolo - scaricabile assieme ad altro materiale interessante sugli amplificatori in classe A dall'ottimo sito tcaas (da poco ospitato nel sito di Rod Elliott, dopo che il sito ospite originale ha chiuso i battenti). Esso è una rara e fortunata conbinazione di ottime prestazioni (che diventano eccellenti con i finali moderni), semplicità circuitale e costo ragionevolmente basso che, acconpagnata dal richiamo che la classe A ha esercitato su innumerevoli appassionati di audio, è diventata un "cult" ormai prossimo a festeggiare i quarant'anni - più che ottimamente portati.

Al riguardo si può dire tranquillamente che pochissimi circuiti oltre a questo (e comunque non con lo stesso impatto) sono riusciti davvero a comunicare "visceralmente" l'essere la classe A un "qualcos'altro" rispetto al puro e semplice aumento della corrente di riposo di un finale generico, altrimenti indistinguibile da un qualsiasi altro funzionante nella consueta classe AB. La ragione di ciò risiede paradossalmente, come vedremo tra poco, proprio nel fatto che ia classe A è solo uno degli ingredienti che caratterizzano un funzionamento dello stadio finale abbastanza particolare che, sorprendentemente, ho ritrovato anche in tutt'altro tipo di circuito - quello degli IC audio della serie "Ouverture" della National, che costituiscono l'ingrediente base dei cosiddetti "gainclones" - che pur funzionando in classe AB, ne hanno intelligentemente aggirato lo scoglio più pericoloso, quello della distorsione di incrocio del primo tipo (da interdizione, di gran lunga la più nociva perché in grado di aprire l'anello di controreazione, annullandone l'efficacia durante la transizione da uno all'altro dei transistori di uscita di un finale)

Per comprendere il funzionamento dello stadio di uscita di questo amplificatore utilizzeremo, dell'illustrazione postata all'inizio, la prima figura, che illustra proprio questo stadio ridotto all'essenziale. Vi è da dire che già la didascalia dell'immagine, parlando di push-pull, tradisce come probabilmente neppure il suo autore avesse le idee completamente chiare sul reale meccanismo di lavoro di questo stadio.
A rafforzare tale congettura vi sono almeno due indizi: il primo è che questo amplificatore, pur essendo stato ripreso in mano parecchie volte dal suo autore (l'ultima, rintracciabile sul sito prima citato, dovrebbe essere stata nel 1996), ha conservato comunque nello stadio di uscita sempre la topologia iniziale (sono cambiati solo i transistori di potenza dato che quelli originali sono da tempo usciti di produzione), come se l'autore avesse ben compreso che il busillis "stava lì" ma non potesse precisare meglio che cosa esattamente "ci stava lì".
Il secondo indizio che mi induce ancor più a pensare che l'utilizzo di questo tipo di stadio finale sia in qualche modo un "fortunato accidente" nato da un tentativo andato particolarmente a buon segno, è che il resto della produzione circuitale di finali audio progettati da Linsley Hood, pur interessante e decisamente impegnativa, è nondimeno abbastanza convenzionale.
Del che, beninteso, non si può certo fargliene una colpa; le idee nuove non nascono mica tutti i giorni e in ogni caso, quando un tipo di circuito raggiunge la sua maturità, quella è: basti pensare che gli schemi della gran parte dei finali oggi in circolazione sono da quasi quarant'anni (cioè dalla metà degli settanta del secolo scorso) sostanzialmente simili per tutti i costruttori. Le uniche eccezioni (o meglio, variazioni) interessanti che ho incrociato finora sono il particolare arrangiamento dello stadio finale dei Bryston e alcune realizzazioni della QSC (amplificatori professionali di alta e altissima potenza).

La chiave di volta per comprendere il funzionamento del suo stadio di uscita sta nel tener presente che i due transistor di uscita sono controllati dal pilota che lo precede in due modi completamente diversi tra loro. Più precisamente, del transistor superiore viene controllata la tensione di uscita sull'emettitore (lasciando al carico piena libertà di assorbire la corrente che gli serve) mentre di quello inferiore viene controllata la corrente, lasciando libera da vincoli la tensione di collettore di quest'ultimo - che è anche la tensione di uscita dell'intero circuito.
Questa differenza fa sì che il presunto funzionamento in push-pull dello stadio di uscita avvenga solo con il circuito di figura 2 rispettato alla lettera (cioè facente uso di soli carichi resistivi) e con i beta dei finali non solo identici ma anche perfettamente lineariDetto in altro modo, stante l'influenza che hanno le non linearità nel mondo reale, il "push-pull" esiste - peraltro in forma completamente accidentale e non intrinseca al circuito - solo sulla carta.

Da questo punto di vista il funzionamento di questo circuito è completamente differente da quello del "cugino" a simmetria quasi complementare (con o senza diodo di Baxandall), da cui sembra in apparenza discendere, nel quale il funzionamento in push-pull dei due semicircuiti superiore e inferiore dello stadio è invece tale a tutti gli effetti. Questo significa che, mentre nello stadio di uscita quasi complementare è il carico a governare l'entità della corrente di uscita del circuito per entrambi i suoi semistadi, nella variante usata da Linsley Hood ciò è vero soltanto per il semistadio uscente di emettitore, mentre la corrente del semistadio uscente di collettore è definita UNICAMENTE dallo stadio pilota, in modo completamente indipendente dal carico, il quale può condizionarne l'erogazione in corrente secondo le sue necessità SOLTANTO attraverso la rete di controreazione generale.

Stando le cose in questo modo si può affermare fin da ora che: 1) lo stadio di uscita del Linsley Hood è solo apparentemente un push-pull e 2) che dei transistori che lo compongono solo quello uscente di emettitore può essere considerato un "vero" finale; l'altro va considerato più appropriatamente come un servocircuito di polarizzazione che assicura al primo il funzionamento in classe A (o meglio: somigliante alla classe A). Da quanto appena detto consegue che in realtà lo stadio di uscita di questo amplificatore va considerato più un sofisticato MONOTRANSISTOR che non un "push-pull", fosse pure non convenzionale.

Il funzionamento di questo circuito, solitamente considerato un classe A, ha in comune con questa solo l'alta dissipazione a riposo. In effetti andrebbe considerato un circuito ad alta corrente di riposo di cui la classe A, così come descritta nei libri di testo, è solo una modalità operativa e neppure la migliore: il funzionamento è davvero in classe A solo se il carico di uscita è COMPLETAMENTE resistivo e solo quando lo stadio pilota è arrangiato e polarizzato in modo tale da operare praticamente a corrente costante su gran parte dell'escursione della tensione erogabile sull'uscita poiché, in queste condizioni, il transistor di uscita inferiore si riduce ad essere nulla più che un generatore di corrente (malamente) costante, soluzione esplicitamente utilizzata in quanto tale anche da altri (ad esempio da Nelson Pass in diverse sue proposte DIY).

Il circuito di Linsley Hood ha invece in nuce, proprio grazie alla differente modalità di controllo che il pilota esercita sui due transistor di uscita, la possibilità di erogare potenza con il suo finale effettivo (quello uscente di emettitore) facendolo lavorare, se non proprio a corrente costante, con una escursione in corrente molto inferiore a quella solitamente imposta dal carico, generando per conseguenza una distorsione nettamente più bassa di quanto ci si potrebbe altrimenti aspettare. Ed è quasi sicuro che con il Linsley Hood, sia pure in maniera accidentale, succeda proprio questo.
Questa modalità di funzionamento (secondo me, lo ripeto, non del tutto voluta o prevista)  non è priva di controindicazioni, la più consistente delle quali è che occorre tendenzialmente maggiorare di una buona metà le capacità di dissipazione del "vero" transistor di uscita che in effetti, pur essendo un inseguitore di emettitore, tende ad avere gli stessi problemi termici di un generatore di corrente lavorante con le stesse escursioni di tensione collettore-emettitore.

Così com'è, lo stadio di uscita del Linsley Hood, una volta assodato e accettato che NON è un push-pull, tende ad essere, nel complesso delle sue prestazioni, una coperta troppo corta: il funzionamento a corrente costante dello stadio di uscita va a scapito di quello ugualmente a corrente costante del transistor che lo pilota e quindi il dimensionamento dell'intero circuito va deciso in base a un qualche tipo di compromesso più o meno meditato che miri a ottenere - per un dato carico - la minor distorsione complessiva ottenibile: qualsiasi ottimizzazione operata su uno dei due stadi preso separatamente non potrà fare a meno di compromettere l'ottimizzazione dell'altro.
Il parametro chiave che determina la bontà e l'efficacia di tale compromesso è la linearità del beta dei transistori finali ma soprattutto dell'inseguitore di emettitore: è questo che, quanto più è costante rispetto alle variazioni di corrente richieste dal carico, tanto più svincola il circuito dall'esigenza di mantenere costante la corrente di uscita dell'emitter follower, consentendo così una maggiore possibilità al transistor "polarizzatore" di "limitarsi" a funzionare a corrente costante: solo in questo modo è possibile dimensionare il punto di lavoro del pilota per funzionare a corrente quasi costante (con conseguenti distorsioni molto ridotte)

Sotto questa ottica, il Linsley Hood non solo è un circuito fin troppo ridotto ai minimi termini ma, ad aggravare le cose, in esso sono stati quasi sempre usati transistor finali (2N3055) piuttosto inadeguati; in proposito vale la pena di rilevare che la versione del 1996, proprio perché fa uso di uno stadio pilota migliore, se non fosse per l'aumentato tasso di retroazione che ciò comporta, avrebbe prestazioni sensibilmente peggiori. Oltre a ciò va rilevato che, robustezza a parte, i 2N3055, sono transistori meno lineari rispetto a quelli originariamente montati nella versione del 1969 (e che con tutta probabilità all'epoca costavano un mutuo!).

Del Linsley Hood vale la pena di sintetizzare un giudizio che, se deve rimproverare qualcosa, questo qualcosa non è il circuito ma piuttosto l'atteggiamento con cui è stato recepito, soprattutto tra gli "audiofili". Il Linsley Hood è stato (ed è tuttora per molti autocostruttori in ogni parte del pianeta), per gli scopi che si proponeva - realizzare un buon finale domestico che, senza pretendere di essere "chissà cosa", non lo facesse però neppure rimpiangere troppo - un'ottima proposta che, realizzata come si deve, ha dato e può continuare a dare un mare di soddisfazioni.
Ma non è un circuito privo di difetti, così come è tutt'altro che non rivedibile o anche - senza stravolgerne i concetti - non migliorabile. Purché lo si voglia fare e non lo si consideri un "intoccabile" solo perché qualcuno non ha saputo far di meglio che trasformarlo in "leggenda" anziché fare almeno il tentativo di capirlo per quello che è, con i suoi pro e i suoi contro. Sicuramente non è tra i candidati peggiori da consacrare alla leggenda - ci hanno provato con cose ben più immeritevoli - ma rimane il fatto che la "leggenda" è un ottimo ingrediente per far salotto ma non per capire la realtà di ciò che si ha sottomano: per questo fine serve ben altro impegno.
Il Linsley Hood, opportunamente ripensato, è ancora oggi un'ottima proposta dove si voglia realizzare piccoli stadi di uscita al di sopra di molti se non di tutti i sospetti; tra le sue caratteristiche vi è al riguardo anche quella di poter parzialmente funzionare da PFC (power factor corrector) nei confronti delle reattività del carico, conferendo un certo grado di "immunità" alle bizze di quest'ultimo, aumentando di conseguenza la stabilità di tutto il circuito e diminuendone la dipendenza della distorsione: si pensi, tanto per dirne una, ai benefici che ne potrebbero derivare nel pilotaggio di reti "pesanti" da digerire come quelle deputate alla correzione RIAA (o NAB per i nastri magnetici) o di controllo di toni, tutte situazioni in cui, a parità di altri fattori, il circuito di uscita "alla Linsley Hood" potrebbe conferire alla distorsione una immunità e indipendenza maggiore dalle variazioni di impedenza o di reattività del carico, con gran vantaggio sia per la qualità timbrica sia soprattutto per la sua stabilità in ogni condizione di utilizzo.

E dopo il Linsley Hood?


Il John Linsley Hood, al di là del fascino che ha esercitato nei suoi quarant'anni di vita, sembra non aver avuto né emuli, né eredi. Parte dei motivi di questa situazione risiedono nei suoi limiti prima accennati, che non offrono molti spunti per evolverlo in qualcosa di più sostanzioso di quello che è - un buon circuito da autocostruirsi e godersi in proprio che come tale (al pari di tanti altri nati ed evolutisi con gli stessi presupposti realizzativi) esercita poca o nessuna attrattiva sulle aziende che producono elettroniche finite per il mercato. Le rare volte che una di queste aziende "si lascia andare" lo fa comunque realizzando e commercializzando idee tecnicamente affidabili e poco propense a produrre ritorni per guasti, caratteristica questa che purtroppo il circuito di Linsley Hood, a causa del suo stesso funzionamento, non è in grado di garantire - almeno non come finale di potenza: come stadio di uscita relativamente "muscolare" per preamplificatori o anche uscite cuffia di qualità, non soffre invece di handicap particolarmente seri.

Nonostante questo però qualcosa si è mosso ugualmente, soprattutto tra coloro che per un motivo o per l'altro non possono fare a meno di utilizzare stadi di uscita a simmetria quasi complementare - in primis i produttori di amplificatori integrati monolitici che ormai, come i serie "Ouverture" della National (oggi incorporata nella Texas Instruments) hanno raggiunto livelli di potenza di uscita e di altre prestazioni tecniche offerte che, qualitativamente, non hanno proprio nulla da invidiare alla maggior parte delle realizzazioni discrete, la cui evoluzione dopo aver raggiunto il suo culmine, si è arrestata da almeno una trentina di anni.
A tal riguardo, mentre per un lungo periodo iniziale, estesosi fino alla fine degli anni ottanta, l'intento principale di quasi tutti i progettisti di amplificatori integrati era quello di far sì che lo stadio d'uscita quasi complementare si comportasse come se fosse un "vero" complementare, con tutti i problemi connessi a questa impostazione di lavoro, a partire dagli anni '90 qualcuno cominciò a cambiare ottica, mirando a tirare fuori dal quasi complementare monolitico (che ha tutt'altre costrizioni rispetto a quello realizzato a discreti o con tecniche ibride, come fece la Sanyo con una intera linea di "Power Packs", le cui prestazioni tecniche erano e sono tuttora ottime, checché ne pensino molti audiofili) il meglio di sé senza "costringerlo" ad essere qualcosa di diverso da quello che è.

In figura soprastante è rappresentato lo schema di massima degli LM3875 (identici agli LM3886, salvo per l'assenza del circuito di "muting") è stato evidenziato su fondo grigio lo stadio finale e, all'interno di questo, su un fondo più scuro, lo stadio driver, il cui arrangiamento è in sostanza il vero "cuore" circuitale che definisce - e distingue - le prestazioni di questi monolitici rispetto a quelli delle generazioni precedenti.
In questo circuito il nocciolo dell'innovazione consiste in due particolari: 1) la trasposizione del diodo di Baxandall dal circuito di uscita a quello di ingresso dello stadio finale; 2) il suo far parte dell'anello di retroazione locale che si chiude sull'emettitore del VAS che, oltre a rendere effettiva l'azione di tale diodo sul comportamento dello stadio di uscita, impedisce almeno al driver di quest'ultimo di interdirsi in qualunque situazione di lavoro regolare, impedendo così all'intero stadio finale qualsiasi possibilità di "aprire" il percorso del segnale e di conseguenza disattivare la retroazione generale.

Nei limiti in cui il VAS controlla direttamente la corrente del driver dello stadio finale, il circuito dello stadio di uscita degli "Ouverture" National funzionano esattamente nello stesso modo in cui funziona il finale del John Linsley Hood, soprattutto ai bassi e bassissimi livelli. Non solo ma grazie allo stesso meccanismo, il driver dello stadio uscente di collettore di fatto NON SI INTERDICE MAI, se non in situazioni in cui lo stadio di uscita a inseguitore di emettitore è ormai saturo. In tutte le altre circostanze, il driver funziona in una modalità analoga ai cosiddetti stadi di uscita "non-switching" usati da alcuni progettisti, in cui impedendo ai transistor finali (specie bipolari) di interdirsi, viene loro efficacemente impedito di degradare le proprie prestazioni ad alta frequenza, con gran vantaggio non solo per la banda passante ma anche per un funzionamento "protetto" della controreazione, il cui anello resta integro in ogni circostanza di lavoro del circuito.
Nello stadio d'uscita degli IC National che stiamo considerando, lo stadio di uscita può interdirsi completamente (cioè compresi i transistori pilota) SOLTANTO se si interdice anche il VAS; altrimenti, per il modo in cui è connesso il diodo di Baxandall, il pilota del darlington inferiore sarà costretto a rimanere in conduzione dalla controreazione locale imposta dalla sua resistenza di emettitore da 200 Ohm, la quale arrangerà la corrente di emettitore del pilota in modo da avere su di essa la stessa tensione che si ha sulla resistenza di emettitore del VAS.

Infine una piccola nota sullo stadio di uscita di questi monolitici: il transistor di uscita del darlington inferiore potendo, a differenza del suo pilota, interdirsi senza impedimenti viene a costituire per il pilota stesso un vero e proprio "current dumper", un indizio del fatto che il progetto di questi integrati di potenza è stato curato da qualcuno come minimo "informato dei fatti" di quanto avvenuto nel campo dell'elettronica audio negli ultimi quarant'anni e quindi consapevole di alcuni aspetti di cui si è parlato solo tra gli appassionati di amplificatori audio a cui in genere gli ingegneri elettronici hanno prestato poca o nessuna attenzione.


Lo stadio di uscita
quasi complementare

Ultimo argomento di questo articolo è il cosiddetto finale "quasi complementare" da cui il Linsley Hood è comunque derivato e che storicamente lo precede di almeno una dozzina di anni. Su questo circuito, vista la tendenza al "vilipendio" nei suoi confronti nonostante l'onorato servizio che ha prestato ai progettisti per almeno tre lustri e oltre, vale la pena di spendere qualche parola in sua difesa.


Fin da quando è nato, lo stadio di uscita quasi-complementare è sempre stato visto come un ripiego più o meno imposto dalle circostanze rispetto allo stadio di uscita "genuinamente" complementare che, dalla fine degli anni settanta, è divenuto praticamente l'unico utilizzato in quasi tutti gli amplificatori audio posti sul mercato - con la sola eccezione di quelli che utilizzano finali monolitici o ibridi come i cosiddetti "power pack" a film spesso o anche di alcuni costruttori "esoterici" di finali in classe A che hanno continuato a utilizzare questo tipo di stadi di uscita.

In realtà, a dispetto delle apparenze, se è proprio la complementarità che si cerca, essa è molto più semplice ricavarla da uno stadio di uscita quasi complementare che non trovarsela già "pronta e servita" da una qualsiasi delle coppie di finali "cosiddette" complementari oggi presenti sul mercato. Di fatto queste ultime sono (ma non sempre) superiori al quasi complementare in un unico parametro importante e cioè la banda passante a piena potenza; tuttavia anche quest'ultima obiezione (importante trent'anni fa) ha fatto il suo tempo e oggi, con i transistor attualmente proposti sul mercato, le differenze sarebbero puramente strumentali e accademiche: dal punto di vista pratico non vi sarebbe alcuna seria prevalenza di prestazioni di una topologia sull'altra - soprattutto con l'uso nello stadio di uscita quasi complementare del coidetto "diodo di Baxandall", un comune diodo polarizzato direttamente e collegato in serie all'emettitore del driver della sezione uscente di collettore che, introducendo una controreazione locale non lineare su di esso, ne equalizza al passaggio per lo zero l'andamento della trasconduttanza, dimezzandola e parificandola a quello della sezione uscente come darlington inseguitore di tensione, rendendo così l'intero stadio finale simmetrico nel passaggio per lo zero e pienamente confrontabile a quello di uno stadio nativamente a simmetria complementare.

Un aspetto particolarmente sottaciuto del confronto stadi complementari/quasi-complementari lo si ha nel fatto che mentre è SEMPRE possibile selezionare dispositivi perfettamente identici tra componenti della STESSA polarità, lo stesso non è ugualmente fattibile tra componenti di polarità diversa, SOPRATTUTTO SE SI TRATTA DI DISPOSITIVI DI POTENZA. Questo perché i dispositivi di potenza, essendo per ragioni economico-costruttive, già al limite delle proprie possiblità fisiche, risentono profondamente della diversa mobilità dei portatori di carica nelle regioni "P" (lacune) rispetto a quella dei portatori nelle regioni "N" (elettroni), con questi ultimi aventi una mobilità doppia rispetto alle prime. Una differenza che, per essere resa ininfluente, imporrebbe di usare transistori di potenza per radiofrequenza (delicati e costosissimi) anche nei normali circuiti di BF senza peraltro migliorare veramente nulla ma anzi peggiorando le loro stabilità e affidabilità.
Con uno stadio quasi complementare ben dimensionato è invece possibile ottenere, a tutte le frequenze e potenze di nostro interesse, una complementarità praticamente perfetta senza spendere nulla più del necessario a effettuare una selezione ragionevole dei dispositvi attivi. Il "trucco" risiede, oltre che nella selezione stessa - che tra dispositivi della stessa polarità può essere rigorosa a piacere - nel fatto che è molto più pratico ed economico produrre e selezionare coppie complementari tra transistori di BASSA POTENZA che non tra transistori di potenza veri e propri: a parità di costi di produzione, una coppia di driver complementari è meno soggetta a subire costrizioni fisiche rispetto a una coppia di finali veri e propri i quali, se si vuole contenerne i costi di produzione a un livello accettabile, non possono essere esentati dal lavorare in prossimità dei loro limiti fisici rendendo la loro asserita "complementarietà" una pura petizione di principio.
Per valutare quanto questi siano pesanti, basti considerare come il classico 2N3055, considerato un transistor da 10 Ampere di collettore, degrada le sue prestazioni già a partire da 0.5 - 1 Ampere di Ic, al punto che la massima corrente a cui può essere ritenuto ancora ragionevolmente lineare non supera i 2-3 Ampere effettivi; per avere transistori "capienti" a sufficienza da garantire una buona linearità sull'intera gamma di correnti utilizzate negli amplificatori audio domestici - cioè da 1 a 10 Ampere - bisogna optare per "bestie" come i TIP35-TIP36 da 25 Ampere nominali al collettore. A questa regola non fanno grandi sconti neppure i "superbipolari" di produzione giapponese tipo 3281 e 1302 che, mentre garantiscono una eccellente linearità al di sotto dei 7-8 Ampere di collettore, rimangono pur sempre, per parte loro, dei transistori da oltre 15 Ampere continui, capacità di cui, per non comprometterne la linearità, viene a stento sfruttata solo la metà

I transistori di media potenza usati come driver, chiamati solitamente a lavorare a non più di 200-300 mA di collettore, soffrono di problemi di "intasamento" di corrente proporzionalmente minori e riescono al contempo a garantire, a prezzi contenuti, prestazioni migliori sia in termini di guadagno, che di linearità e di tenuta in frequenza: i classici BD137-BD138 garantiscono guadagni in corrente superiori a 100 e costanti da 1 a 200 mA di Ic circa, con frequenze di transizione sempre superiori ai 50-60 MHz e in più con ottima e reale complementarietà tra le due polarità.
Un circuito che consentisse di coniugare l'ottima complementarietà a basso costo di questi dispositivi con l'ottimo accoppiamento ottenibile a costi contenuti da transistori di potenza della stessa polarità offrirebbe come "premio" un circuito con prestazioni in banda audio di fatto indistinguibili da quelli di un simmetria complementare curato e impiegante dispositivi accoppiati e selezionati, a una frazione del prezzo di quest'ultimo. Questo circuito esiste ed è proprio il simmetria quasi complementare, il quale si può considerare "passato di moda" più per ragioni commerciali che non di reale sostanza tecnica.

Se le differenze effettive tra stadi quasi-complementari e complementari "generici" non sono, in pratica, così eclatanti da giustificare l'atteggiamento di sufficienza con cui molti preferiscono i secondi ai primi, lo sono invece quelle esistenti tra entrambi gli stadi di uscita prima citati e uno stadio di uscita VERAMENTE complementare. Uno di questi è quello che in molti suoi prodotti ha utilizzato la Bryston (si veda la terza immagine dell'illustrazione soprastante - i valori dei conponenti sono solo indicativi).
La caratteristica saliente dello stadio di uscita dei Bryston è quello di utilizzare, in ciascun ramo dello stadio di uscita, transistori finali di ENTRAMBE le polarità, pilotate da un unico driver il quale viene sfruttato in entrambe le sue uscite disponibili, quella di collettore e di emettitore. Il circuito che ne risulta è ALLO STESSO TEMPO sia un doppio inseguitore di tensione, sia una doppietta Sziklay a guadagno unitario. Questa configurazione, che ha in sè quel tocco di genialità che solo le uova di Colombo posseggono, sposta la radice della complementarietà del circuito dai suoi componenti alla sua struttura che, in quanto tale la garantisce PER COSTRUZIONE. I finali necessitano ora di essere selezionati e accoppiati solo tra appartenenti alla stessa polarità, mentre l'accoppiamento tra coppie fisicamente complementari è concentrato sui driver, cioè proprio sui dispostivi dove è più semplice ottenerlo.
Lo sforzo è ripagato qualitativamente almeno su altri due aspetti, oltre a quello della complementarietà fine a sè stessa: 1) la distorsione dell'intero stadio è dimezzata rispetto a qualsiasi altra configurazione che faccia uso degli stessi componenti sottoposti alle stesse selezioni; 2) lo stadio di uscita è completamente simmetrico anche nelle sue prestazioni ad alta frequenza - soprattutto la sua banda passante e le sue distorsioni armonica e di intermodulazione.

Infine lo stadio di uscita dei Bryston offre la notevole possibilità di rendere "perfettamente complementari" anche componenti notoriamente tutt'altro che tali, come i MOSFET di potenza che, preavalentemente costruiti per servire quasi sempre da finali di circuiti switching (alimentatori e amplificatori), non solo sono accompagnati da tipi complementari sono in una sparutissima minoranza di casi, ma spesso e volentieri sono "complementari" quanto lo sono una mela e una pera (*)

Piercarlo Boletti

(*) Dal tempo della stesura di questo articolo, a seguito di una discussione chiarificatrice con l'utente "Pergo" del forum di CHF (di cui conosco il solo nome di battesimo, Federico), il mio entusiasmo per lo stadio di uscita "Bryston" si è decisamente raffreddato dopo aver verificato che, già a livello di simulazioni, è estremamente difficile garantire tra i due transistori complementari dello stesso ramo una ripartizione egualitaria delle correnti di lavoro - condizione questa assolutamente indispensabile ad assicurare una complementarità effettiva dei due rami positivo e negativo dello stadio di uscita: in assenza di essa le prestazioni possono essere addirittura peggiori di quelle di un semplice stadio di uscita a simmetria complementare che, oltretutto, è di gran lunga meno problematico da stabilizzare termicamente.
Detto in altro modo il quasi complementare rimane ancora oggi, ad onta del nome, l'unico stadio di uscita in grado di comportarsi genuinamente come un "vero complementare". Se poi questo costituisca in sé una virtù di particolare pregio è tutto da vedere visto che purtroppo lo scotto da pagare nell'uso di uno stadio d'uscita quasi complementare "classico" è una zona di incrocio tra i due rami assai più aspra e spigolosa di quella propria ad un normale stadio di uscita complementare. In altre parole, su questo aspetto la ciambella perfetta con il buco perfetto non l'ha ancora ottenuta nessuno e appare al momento piuttosto improbabile che possa mai essere ottenuta da qualcuno.

(aggiornato e corretto a sabato 25 gennaio 2014)



Parte II - JLH-2012: un esperimento per capire e migliorare il Linsley-Hood

Nell'articolo dedicato al John Linsley Hood originale del 1969 soprariportato ho avuto modo di fare alcune considerazioni su quella che, dal mio punto di vista,è la reale natura dello stadio di uscita di questo mitico amplificatore e del perché funziona come funziona. Da queste considerazioni, maturate ormai diversi anni fa, sono col tempo scaturite ulteriori idee e riflessioni per tentare un possibile rinnovamento di questo venerando ma tuttora affascinante amplificatore.
Nel disegno qui sotto (Fig. 1) è rappresentato graficamente il concetto che secondo me "riassume" il Linsley-Hood e da cui occorre ripartire.

Fig. 1 - Schema di principio dello stadio di uscita del Linsley Hood
Il disegno rappresenta il "cuore" del Linsley Hood, cioè un inseguitore di tensione (Q2) caricato da un generatore di corrente variabile (G1) il cui valore di corrente viene definito dalla tensione presente ai capi di R2 che a sua non è altro che la tensione del segnale Vinput ripetuta sull'emettitore di Q1, lo stesso transistor sul cui collettore si genera la tensione di uscita destinata, tramite Q2, ad alimentare il carico RLoad, che è qui fissato al valore convenzionale di 8 ohm.

Un aspetto importante da evidenziare è che la corrente erogata da G1 non viene definita "passivamente" dalle esigenze del carico ma ATTIVAMENTE dalla tensione presente su R2 che lo controlla: il che, detto in altro modo, significa che la corrente che circola nello stadio finale varia con il segnale d'ingresso anche in assenza di carico e indipendentemente dalle effettive esigenze di questo, Un comportamento completamente diverso da quello tipico di altri stadi di uscita più convenzionali, nei quali, quando il carico non richiede corrente perché assente o perché di impedenza molto elevata, la corrente che scorre nei finali rimane stabile sul valore assegnato come corrente di riposo, quale che sia la loro classe di funzionamento. Di questa differenza di comportamento analizzeremo ora i dettagli e le sue conseguenze sulle prestazioni del circuito.

A tale scopo il confronto più utile lo si ha con il convenzionale circuito di uscita in classe A composto da un inseguitore di tensione caricato, oltre che dal carico di uscita, anche da un generatore di corrente COSTANTE (che qui chiameremo G0), il quale definisce sia la corrente di riposo dello stadio finale sia la massima corrente erogata dal braccio del circuito di uscita in cui è collocato (nel nostro caso quello negativo). Dal punto di vista circuitale i due circuiti sono semplicemente uno la variante dell'altro mentre da quello del modus operandi, come vedremo tra poco, le differenze non potrebbero essere... più differenti! Partiamo dall'esaminare il lavoro dei due stadi di uscita in assenza di carico.

Tipo 1 - Inseguitore di tensione convenzionale polarizzato da generatore di corrente costante - In questa situazione lo stadio di uscita lavora, in assenza di carico, semplicemente riproponendo all'uscita di Q2 la tensione che viene iniettata sul suo ingresso, con una distorsione teoricamente inesistente e praticamente misurabile solo con molta difficoltà. La corrente dello stadio finale, fin quando la  tensione di uscita resta nei suoi limiti massimi fissati dalla tensione di alimentazione, rimane praticamente pari a quella definita dal generatore di corrente costante, quale che sia l'ampiezza del segnale in ingresso (I).
Questo significa che, nel caso molto simile a quello di assenza del carico in cui il carico è però soltanto di impedenza molto elevata e tale da richiedere una frazione minima della corrente disponibile a riposo, si possono ottenere con poco sforzo livelli molto elevati di linearità del segnale in uscita anche utilizzando tassi di retroazione piuttosto contenuti. Di per sé questo sistema - contenere la distorsione di un circuito facendo variare il meno possibile le sue correnti di segnale rispetto a quella statica assegnata a riposo - è tutt'altro che nuovo e anzi, quando l'uso e la diffusione della retroazione nei circuiti analogici era ancora di là da venire, era praticamente l'unico espediente utilizzabile per questo scopo.

Tipo 2 - Inseguitore di tensione "Linsley-Hood" caricato da generatore di corrente variabile dipendente dal segnale di ingresso - Passando dalla situazione precedente a quella in cui l'inseguitore di tensione viene caricato da un vero e proprio generatore di transconduttanza (e non più solo di corrente statica), il cui valore di corrente di uscita dipende da un segnale in tensione posto al suo ingresso, il funzionamento del circuito muta completamente in quanto l'inseguitore di tensione, anche in assenza di carico esterno, lavora in effetti su un carico INTERNO, costituito nel nostro caso proprio da G1 che, sollecitato dalla tensione presente su R2, varia COMUNQUE la sua corrente in funzione del segnale in ingresso - e la varia sempre allo stesso modo, quale che sia l'effettivo valore del carico. Non solo ma la variazione della corrente di G1 rispetto alla variazione della tensione imposta ai suoi capi dall'inseguitore di tensione Q2 è SEMPRE di segno tale da fare apparire G1 a Q2, in presenza di segnale, come un carico avente RESISTENZA NEGATIVA, pur non essendo, in prima istanza, realmente tale.

Il valore di questa "resistenza negativa" è definito come segue:

Eqn 01
ovvero, assumendo Vin praticamente coincidente con la tensione presente su R2 e Voutcoincidente con la tensione sul collettore di Q1, essa è definita dall'inverso della transconduttanza di G1 moltiplicata per il guadagno in tensione di Q1. Dimensionando opportunamente quest'ultimo è possibile ottenere, a partire da un dato valore di gm assegnato a priori a G1, qualunque valore di "resistenza negativa" si ritenga opportuno far "vedere" all'inseguitore Q2.
E' evidente, dall'equazione esposta sopra, che questa "resistenza negativa", una volta che l'amplificatore viene regolarmente connesso a un carico, ha un impatto significativo solo fintanto che il guadagno in tensione dello stadio pilota Q1 si mantiene relativamente basso; qualora questo sia portato agli elevati valori che usualmente sono assegnati allo stadio VAS per incrementare il guadagno ad anello aperto del sistema, l'inseguitore di tensione alla "Linsley-Hood si riduce ad essere di fatto un normalissimo inseguitore di tensione caricato a riposo solo da un generatore di corrente un po' più bizzarro del solito... ma questo è tutto (ed è proprio da qui che nasce il parziale limite della versione di questo amplificatore riproposta nel 1996: essendo il VAS caricato da un generatore di corrente esibisce un guadagno in tensione un po' troppo elevato per conservare il comportamento caratteristico dello stadio di uscita presente nella versione originale del 1969).

Le cose vanno invece molto diversamente quando l'equazione di prima fornisce un valore direttamente confrontabile con quello del carico o quantomeno appartenente al suo stesso ordine di grandezza. In questo caso infatti il comportamento dello stadio di uscita cambia a tal punto che la sua classe di lavoro non può più essere nettamente definita né come classe A, né come classe B e NEPPURE COME CLASSE AB ma piuttosto come un ibrido di tutte queste (ibrido che non ha niente a che fare con la cosiddetta "classe A dinamica") . Per capire come stanno le cose ci occorre ancora una volta confrontare il comportamento (questa volta sotto carico) dei due inseguitori di tensione, quello caricato con un normale generatore di corrente e quello "Linsley-Hood", annotandone le differenze.

Inseguitore di tensione tipo 1 - In questo caso, supposto il carico come completamente resistivo e assegnato al generatore di corrente costante che polarizza l'inseguitore di tensione a riposo un valore pari a quello richiesto dal carico con il massimo segnale di uscita, abbiamo semplicemente che, in base all'ampiezza del segnale, l'inseguitore di tensione Q2 vede aumentare la corrente che lo attraversa durante la parte positiva del segnale e diminuirla durante la parte negativa del medesimo, mentre per parte sua il generatore di corrente costante G0 si limita a fare il suo mestiere, ovvero tenere costante la corrente che lo attraversa indipendentemente dalla tensione che il circuito esterno impone ai suoi terminali.
Detto in altro modo: l'unica corrente che varia dell'intero stadio di uscita è SOLO quella che attraversa l'inseguitore di tensione Q2 che, in ogni momento, è SEMPRE la somma algebrica della corrente erogata dal generatore di corrente che lo polarizza PIÙ quella richiesta dal carico.

Inseguitore di tensione tipo 2 "Linsley-Hood" - Alle stesse condizioni di carico appena viste per l'inseguitore di tensione trandizionale, il tipo "Linsley-Hood", supponendo che la "resistenza negativa" mimata da G1 sia pari in valore a quella positiva del carico connesso, abbiamo che durante la parte positiva del segnale di uscita, la corrente erogata da G1 diminuisce mentre viceversa, durante la parte negativa del segnale, essa aumenta in modo tale che la corrente che attraversa l'inseguitore di tensione RIMANE COSTANTE PER QUALUNQUE AMPIEZZA DEL SEGNALE DI USCITA. Ovvero: l'inseguitore di tensione lavora come se fosse sempre collegato ad  un carico di impedenza molto più elevata di quello effettivo con un incremento più che sostanziale della sua linearità, che può ridurre la sua distorsione fino AD ALMENO un ordine di grandezza a prescindere dall'ulteriore azione correttiva esercitata dalla retroazione.

Tutto questo nel caso si decida di far funzionare il circuito in una sorta di classe "simil-A", che è senz'altro più lineare di quella tradizionale ma lo è in un contesto in cui la linearità della classe A "normale" è già ampiamente sufficiente. I veri vantaggi di questo stadio di uscita non stanno qui ma piuttosto nell'inedita possibilità di funzionare in una sorta di classe "non-A e non-B" di tipo non switching (e quindi si può ben definire anche "non-AB"). Vediamo ora qualche dettaglio per capire meglio la situazione.
Supponiamo che lo stadio finale, anziché essere polarizzato con una corrente di riposo pari al massimo valore di picco richiesto dal carico, sia polarizzato soltanto alla metà di questo valore. In uno stadio inseguitore di tipo 1 l'effetto immediato di una simile riduzione della corrente di riposo sarebbe, a parità di carico RL, un contestuale drastico dimezzamento della massima tensione di uscita indistorta. Invece in un inseguitore di tipo "Linsley-Hood" (tipo 2), il cui generatore G1 si comporti come una "resistenza" di valore pari a -RL, la massima tensione di uscita indistorta rimarrebbe tale e quale quella di prima, che è esattamente un altro modo per dire che, con questa configurazione, META' della normale corrente di riposo richiesta da un stadio in classe A convenzionale è superflua.
La differenza di comportamento tra i due tipi di inseguitori 1 e 2 è dovuta interamente al fatto che mentre nel primo il polarizzatore è un semplice generatore di corrente COSTANTE, il secondo è invece un generatore di corrente VARIABILE, il cui valore è peraltro definito, al netto di ogni fattore di moltiplicazione, proprio dallo stesso segnale che, in controfase, esce dall'inseguitore Q2.

Riesaminiamo il
Linsley-Hood originale

Alla luce di quanto appena detto, occorre a questo punto fare un po' le pulci allo schema originale del Linsley Hood per capire se e quanto aderisce al modello di comportamento appena descritto. Allo scopo riportiamo qui sotto lo schema originale completato dei valori forniti all'epoca per poter funzionare su un carico nominale di 8 ohm.
Fig. 2 - Il JLH del 1969 completo dei valori di R1 ed R2 idonei per lavorare su un carico di 8 ohm
Il primo dato importante da ricavare dallo schema è la corrente di riposo dello stadio finale che, a prima vista, non appare definita con precisione da nessun componente del circuito (non esiste alcuna regolazione) ma sembra essere piuttosto la risultante del concorso di più fattori. Nel testo originale del 1969, con l'amplificatore alimentato a 27 volt e i valori di R1 ed R2 arrangiati per un carico di 8 ohm, la corrente di riposo risultante viene data indicativamente pari a circa 1.2 ampere.
Questa corrente è definita sia dal beta dei transistori di uscita sia dalla corrente che a riposo scorre nella serie composta da R1 ed R2 (660 ohm) che, sottoposta alla differenza tra la tensione di alimentazione (27 volt) e la tensione presente sul nodo di uscita (12-13 volt), risulta pari a circa 21 mA che si suddividono più o meno equamente tra le basi dei transistori di uscita che la ricevono sia direttamente (Tr2) sia indirettamente (Tr1-G1, che riceve la sua parte dall'emettitore del VAS Tr3). Per garantire con 10.5 mA una corrente di collettore di 1.2 Ampere occorre che il beta minimo dei finali (ma sopratutto quello di Tr1) sia almeno pari a 115, valore che, riferito ai transistori di potenza a suo tempo impiegati (gli MJ480 elettricamente - ma NON termicamente - equivalenti ai BD537), impongono un minimo di selezione per assicurare che almeno il beta "tipico" dichiarato sui datasheet coincida con quello effettivo (che peraltro, in quel punto delle caratteristiche, è abbastanza indifferente alle variazioni di temperatura delle giunzioni che quindi, anche volendolo, non sono qui in grado di dare alcuna "spinta" per superare il problema - il che è un bene poiché la "spinta" toglierebbe di torno un problema lasciando però completamente scoperto quello della valanga termica dei transistori finali).

Di passata, va notato come il fatto che, in questa situazione, la corrente di riposo dello stadio finale dipenda dal beta dei transistori di potenza che vi sono impiegati, sia una caratteristica tutt'altro che positiva e in grado di compromettere seriamente l'affidabilità dell'intero amplificatore. Per parte mia non sarei affatto sorpreso se saltasse fuori che proprio in questo sta la ragione per cui questo amplificatore, pur molto ambito tra gli autocostruttori, non è mai stato preso in considerazione per una produzione commerciale.

Con una corrente 1,2 ampere a riposo i finali lavorano in effetti sulla china "discendente" delle curva che lega l'andamento del beta a quello della corrente di collettore: il beta diminuisce all'aumentare della corrente di collettore e viceversa aumenta al diminuire di quest'ultima cosa che, in presenza di segnale, permette al finale che in ciascun istante lavora ad una corrente di collettore inferiore a quella del transistor compagno di "prestare" a quest'ultimo (che sta lavorando con un beta inferiore a quello del primo) un surplus di corrente tale da riequilibrare gli assorbimenti delle loro basi attorno ad un valore medio che nel complesso mantiene il beta complessivo dello stadio di uscita su un valore più costante di quello che farebbe vedere ciascun finale preso individualmente.
Nello stadio di uscita del LInsley-Hood questo però non è necessariamente tutto rose e fiori in quanto il VAS Tr3 è per parte sua attraversato dalla corrente di base di UNO SOLO dei due finali (Tr1-G1) e pertanto ne segue inevitabilmente per intero i capricci del beta di quest'ultimo che, prendendo in considerazione un'escursione della corrente di collettore di +/- 800 mA di picco (corrispondenti ad una potenza di uscita di circa 5 watt di picco su 8 ohm), varia tra una volta e mezzo e la metà del suo valore a riposo, una variazione che, variando in concordanza di segno con quelle della transconduttanza di Tr3, non fanno altro che esacerbare le non linearità di quest'ultima.
Al conteggio delle non linearità vi è poi da aggiungere il non trascurabile contributo rappresentato dalla resistenza di emettitore virtuale che Tr3 vede attraverso la base di Tr1-G1, che essendo nient'altro che il prodotto tra il beta di questo transistor e la resistenza ohmica del collegamento interno con il suo emettitore (che ha un valore compreso tra 0,15 e 0,2 ohm) e variando con lo stesso segno del beta in questione, inasprisce ulteriormente la già aspra asimmetria di trattamento tra la parte positiva e la parte negativa del segnale che viene amplificato. Chi ama le armoniche pari è anche fin troppo accontentato!

Occorre ora, per fare altra luce sul funzionamento del Linsley-Hood originale, trovare il valore del suo guadagno ad anello aperto individuando allo stesso tempo i fattori che concorrono a definirlo e per far questo occorre girare un po' intorno a Tr3. Innanzitutto va notato che, lavorando già a riposo con 10-11 mA, la sua transconduttanza naturale (400 mS circa, che corrispondono ad una "Re" interna in serie all'emettitore pari a 2,5 ohm) è ormai quasi completamente fuori gioco nel computo dei fattori che definiscono il guadagno: la componente più importante in serie all'emettitore di Tr3 è ormai l'impedenza di ingresso del finale Tr1-G1 che ammonta agli 0,15 ohm ohmici internamente in serie all'emettitore di questo moltiplicati per il suo beta (stimabile pari a 110-120) che danno vita, rispetto all'emettitore di Tr3, ad una resistenza di degenerazione virtuale di circa 17 ohm, non grandissima ma comunque ben superiore a quella rappresentata dall'inverso della sua transconduttanza (ovvero i 2,5 ohm prima ricordati).
Questa resistenza di emettitore virtuale costituisce uno dei due elementi che servono a definire il guadagno di tensione del VAS costituito da Tr3. Il secondo elemento è rappresentato dal carico di uscita che Tr2 "riflette" sulla propria base moltiplicato per il proprio beta - che supponiamo per comodità uguale a quello di Tr1-G1 - e che, con 8 ohm connessi all'uscita del finale, produce sul collettore del VAS un carico equivalente pari a circa 920 ohm. Quest'ultimo numero costituisce il secondo elemento che ci serve conoscere che, diviso per il primo già trovato (i 17 ohm visti in serie dall'emettitore di Tr3), ci fornisce un "esuberante" guadagno di tensione ad anello aperto di ben... 54 volte! Da confrontare con il guadagno ad anello chiuso del sistema, pari a circa 13 volte che porterebbe, apparentemente, ad un tasso di retroazione di poco più di 12 dB, ovvero praticamente inesistente.
Tuttavia, con il Linsley-Hood, c'è il grosso inghippo che, generando come già detto una sorta di "resistenza negativa" sulla sua uscita, questa di fatto AUMENTA il valore effettivo del carico visto da Tr2, cioè dal finale che agisce da inseguitore di tensione. Un comportamento che rende completamente privo di valore il "guadagno" che abbiamo trovato prima, costringendoci peraltro a complicare significativamente i conti per ricavare quello reale.

Per venire a capo della situazione occorre fare un passo indietro abbandonando, almeno temporaneamente, il concetto di "resistenza negativa" e riprendendo a vedere Tr1-G1 soltanto come un "comune" generatore di corrente dipendente.
Ripartiamo dalla Fig. 1, supponendo che lo stadio di uscita lavori senza carico o, il che è praticamente lo stesso, su un carico dall'impedenza molto elevata. In questa situazione il guadagno in tensione del circuito coincide con il massimo valore di guadagno ottenibile, in questo circuito, da Tr3 usato come VAS che vale:

(Eqn 02)
dove Re non è altro che la resistenza virtuale di emettitore di Tr3 da 17 ohm vista qualche paragrafo sopra, mentre hoe, per il 2N1613 lavorante con una corrente di collettore di 10-11 mA, vale circa 30-40 uS. valori questi che forniscono per Avmax un più che plausibile valore di circa 10.000 che indica anzitutto come esso sia essenzialmente, più che un vero driver, un transistor di segnale confezionato in modo tale da poter dissipare una potenza un po' superiore a quella normalmente permessa ad altri transistori di segnale (cioè 0.8 watt, circa il doppio del consueto).
Detto di passata, questa caratteristica rende oggi questo tipo di transistori difficili da sostituire in quanto, per la loro stessa capacità dissipante, vengono offerti solo dei VERI transistori di media potenza come i BD137 che NON sono affatto equivalenti e che se impiegati al posto del 2N1613 abbattono il guadagno Avmax a poco più di un terzo di quello che abbiamo appena calcolato.
Il valore Avmax appena calcolato non tiene ancora conto dell'effetto di Tr1-G1 e che ormai non possiamo più eludere. Se infatti andiamo a vedere quel che succede al transistore inseguitore Tr2 ci troviamo a fare i conti con il fatto che, pur non essendo l'uscita collegata ad alcun carico, la sua corrente varia a causa di Tr1-G1 come se lo fosse - e lo fa, come ormai sappiamo, come se si trovasse a lavorare su un carico a resistenza negativa anziché positiva ma che, al pari di quest'ultima, si "riflette" moltiplicata dal beta di Tr2 sul collettore del VAS Tr3 andando in definitiva ad aggiungersi come ulteriore componente che contribuisce a definire il guadagno Avmax del VAS stesso, di cui va quindi rivista la Eqn 02 che la definisce.

Prendendo per buona l'identità (e la linearità) dei due transistori di uscita Tr1-G1 e Tr2, se Re fosse la sola componente a trovarsi in serie al VAS Tr3, la conduttanza negativa generata da Tr1-G1, una volta riflessa sul collettore del VAS da Tr2, sarebbe sempre identica in modulo ma opposta in segno alla conduttanza hoe, fatto che porterebbe all'annullamento di quest'ultima dando vita ad un guadagno Avmax teoricamente infinito e quindi, per conseguenza, ad uno stadio amplificatore privo di qualsiasi stabilità.
Ciò che interviene a salvare la situazione è proprio il fatto che la Re complessiva che si trova in serie alla giunzione base-emettitore di Tr3 è in realtà data dalla somma di due componenti, una esterna ed una interna - Re+1/gm - di cui può lo stadio di uscita Tr1-G1+Tr2 può invertire di segno soltanto la prima, mentre l'altra rimane totalmente inaccessibile ad ogni manipolazione. La conseguenza di questo fatto è che la conduttanza negativa generata nello stadio di uscita e riflessa sul collettore di Tr3 che va a sottrarsi ad hoe è sempre inferiore a quest'ultima, di cui pertanto rimarrà sempre un resto positivo finito che, per quanto piccolo, non sarà mai nullo, ponendo così un tetto massimo al guadagno ottenibile dal VAS Tr3, Tale guadagno vale (II):

(Eqn 03)


di cui il fattore chiave - il coefficiente dato da gm·Re che nel nostro caso vale 7 - è in realtà indipendente dal valore del carico connesso all'uscita dell'amplificatore e riflesso sul collettore del VAS ed è quanto ci serve per trovare il reale guadagno ad anello aperto del Linsley-Hood, il cui valore non è infatti 54 ma sette volte questa cifra, ovvero circa 380 (III), mentre il suo fattore di retroazione effettivo - 30 dB, non certo da urlo - è ora senz'altro più rassicurante degli sparutissimi 12 dB che avevano trovato qualche paragrafo più sopra.

Diviene ora molto più chiaro sia il motivo per cui il Linsley-Hood può permettersi di lavorare senza alcuna compensazione esplicita in frequenza sia la ragione per cui la sua reiezione ai disturbi e al ronzio di alimentazione è, per dire il meno, scarsa. Semplicemente non c'è trippa per gatti... e i gatti miagolano! Le prestazioni in termini di distorsione sono invece piuttosto buone e, per i tempi in cui vide la luce, davvero ottime. Del resto, una volta che le distorsioni sono confinate al di sotto dei -60 dB (e a basso livello anche -80 dB) esse cessano di essere una reale preoccupazione.
Nondimeno vale la pena di notare come la ragione di queste buone prestazioni sia in ultima istanza il fatto che, dal punto di vista dinamico, l'inseguitore di tensione vede un carico connesso all'uscita il cui valore è ben sette volte quello reale (56 ohm contro 8 ohm) che, detta in altro modo, significa che esso, pur pilotando degli altoparlanti, lavora come se stesse pilotando una cuffia!

Riassumendo, le caratteristiche peculiari dello stadio di uscita del Linsley-Hood, si possono sintetizzare essenzialmente in due aspetti:

1) La gestione, a parità di corrente di riposo, di una potenza di uscita doppia - o, vedendola in altro modo, la possibilità di gestire, a parità di corrente di riposo, un carico di uscita di valore dimezzato (ad esempio 4 ohm invece di 8) rispetto a quello ammesso, a parità di corrente di riposo, per tutti gli altri tipi di amplificatori in classe A a cui, per topologia circuitale, non sia consentito di "allargarsi" alla classe B nel caso il carico richiedesse una corrente di picco superiore a quella prefissata come corrente di riposo.

2) La riduzione dell'impatto dinamico del carico sulle prestazioni dello stadio di uscita e pilota (in termini di miglior linearità, guadagno e, come vedremo tra poco, smorzamento) che, pur lavorando sul normale carico di uscita di un amplificatore (gli altoparlanti) lo sente in realtà come se si trattasse di un carico di impedenza molto più elevata, più simile in valore, come già detto, a quello offerto da una cuffia.

Quanto sopra è tutto tranne che di poco conto e di per sé avrebbe potuto assicurare a questo amplificatore, sul piano commerciale, ben altra diffusione che non quella ottenuta tra i soli autocostruttori se, come proposto nello schema del 1969, non avesse dovuto fare i conti con una pericolosa dipendenza della corrente di riposo dal beta del transistori di uscita che può portare a guasti catastrofici e che, tra i difetti, è quello che con più urgenza richiede vi sia posto un rimedio.
Prima di parlare di questi aspetti progettuali però occorre mettere in risalto un'altra peculiarità significativa di questo sorprendente schema, ovvero il suo fattore di smorzamento che, una volta chiuso l'anello di retroazione, mostra proprietà uniche, non presenti in nessun altro tipo di stadio di uscita normalmente usato negli amplificatori audio.

Lo smorzamento del Linsley-Hood

Come qualcuno avrà già intuito, la particolare caratteristica dello stadio di uscita del Linsley-Hood di neutralizzare una parte della conduttanza del carico facendolo sembrare di impedenza molto più elevata, ha delle conseguenze anche sul suo fattore di smorzamento che, a differenza di altri stadi finali, non è frutto soltanto del ridurre, con o senza retroazione, l'impedenza di uscita ai minimi termini - i migliori riescono a scendere anche al di sotto del decimo di ohm - ma del suo andare parzialmente oltre facendo di questo amplificatore, una volta chiuso l'anello di retroazione, uno dei pochi dotati di un fattore di smorzamento ATTIVO. Questo stato di cose conduce a due notevoli conseguenze:

1) il fattore di smorzamento attivo nel circuito di uscita non discende dal rapporto tra l'impedenza di uscita del finale e quella del carico bensì dal rapporto tra la prima di queste e quella apparente vista dal transistor inseguitore di tensione, che nel Linsley-Hood originale è ben sette volte superiore a quella effettiva.

2) Nei casi in cui, per varie ragioni, il carico dell'amplificatore (cioè il diffusore) diventa parzialmente attivo (ovvero funziona esso stesso da "impedenza negativa"), lo stadio di uscita reagisce, contrariamente agli altri stadi finali, comportandosi come un vero e proprio «Power Factor Corrector» che, compensando le variazioni di carico istantaneedovute ad un eccesso di attività o peggio di reattività, lo fa apparire all'inseguitore di tensione dello stadio di uscita molto più costante e soprattutto più resistivo di quello che realmente è, comportamento questo non riscontrabile in nessun altro tipo di amplificatore.

Questo comportamento, assai vantaggioso se amministrato con oculatezza, non è però senza contropartite: data la capacità dello stadio finale di "moltiplicare" il massimo guadagno dello stadio VAS che lo precede tanto più efficacemente quanto più cresce l'impedenza del carico, occorre prestare la massima attenzione a che sull'uscita non venga MAI a mancare un carico "di guardia" che, qualora i diffusori risultino volutamente o accidentalmente sconnessi, impedisca allo stadio finale di vedere sull'uscita una impedenza superiore al massimo valore oltre il quale, a causa dell'eccessivo guadagno ad anello aperto risultante, non può più essere garantita la stabilità del circuito. Detto in altro modo, il guadagno ad anello aperto del circuito è molto più fortemente dipendente dal valore carico di quanto sia usuale con altri stadi di uscita e questa caratteristica, con buone probabilità, è un'altra, assieme alla (comunque ben più pericolosa) indeterminatezza della corrente di riposo dello stadio di uscita, che ha bloccato ogni evoluzione commerciale di questo amplificatore, decisamente "ad alto rischio" dal punto di vista di una possibile assistenza post-vendita.


Primi spunti per una revisione

Arrivati a questo punto possiamo già cominciare a formulare dei requisiti da imporre ad un progetto aggiornato del Linsley-Hood che miri a superare i limiti e i difetti della sua versione originale rendendolo, se possibile, affidabile a sufficienza per una sua eventuale proposizione sul mercato non più solo come "kit" per autocostruttori ma anche come amplificatore finito, vendibile come tale.
Se si riflette su quanto esposto finora ci si rende conto che alla fine dei conti il vero limite del JLH originale è quello di fare troppe cose con pochi componenti attivi, che era una prassi ragionevole nel 1969 quando i semiconduttori costavano un occhio della testa (allora erano le valvole ad essere ancora relativamente economiche, non i transistor!) ma che oggi è stata largamente superata dagli eventi. Oggi ci si può permettere, a parità di risultati finali, di utilizzare circuiti più sofisticati che, prima di ogni altra cosa, riducano o addirittura annullino il peso dei difetti del circuito originale, soprattutto quelli più pericolosi inerenti la stabilità termica dello stadio di uscita.
In realtà, alla luce dell'analisi fatta prima, la soluzione è stupefacentemente semplice: trasformare il transistor Tr1-G1 in un vero e proprio SERVOCIRCUITO che abbia soprattutto il compito di mantenere la corrente che scorre attraverso il transistor Tr2 (l'inseguitore di tensione) COSTANTE e INDIPENDENTE dall'ampiezza del segnale una volta che essa sia stata regolata per una data corrente di riposo ritenuta più o meno ottimale rispetto al carico connesso all'uscita.
Tale servocircuito, per funzionare in maniera efficiente recando il minor disturbo possibile all'amplificatore dovrà, dal punto di vista circuitale, essere completamente indipendente dal circuito dell'amplificatore vero e proprio, ovvero la condizione opposta a quella del progetto originale in cui l'amplificatore funge parzialmente ANCHE da servocircuito andando in parte a rovinare il proprio stesso miglioramento delle caratteristiche di linearità dello stadio finale e introducendo in più i problemi di possibili instabilità causate da eccesso di guadagno di cui abbiamo parlato poco fa.
Per chi ha un'infarinatura di circuiti a radiofrequenza, la situazione originale era  per certi versi analoga a quella di un circuito reflex in cui un solo stadio viene utilizzato per realizzare, a frequenze differenti, due tipi di amplificazioni (RF e di bassa frequenza) molto diverse tra loro e i cui intrinseci problemi di autointerferenza sono, alla fin dei conti risolvibili nello stesso modo, ovvero dedicando a ciascuna funzione un SUO circuito specializzato nello svolgerla senza essere allo stesso tempo impegnato in nessun altro compito.
In realtà il destinare a ciascuna funzione un proprio circuito porta naturalmente il Linsley-Hood originale verso un'evoluzione ancora più sorprendente ovvero ad una situazione in cui, nel circuito di uscita dell'amplificatore, la tensione e la corrente necessari per il carico vengono ciascuna fornite da un circuito specializzato a fornire O una O l'altra - una situazione ben diversa da quella di amplificatori più convenzionali in cui, a prescindere dal rendere dominante la tensione piuttosto che la corrente di uscita (cioè dal caratterizzarli come amplificatori di tensione piuttosto che di corrente), essi devono fornire al carico entrambe le componenti con un unico stadio di uscita che, circuitalmente, può solo essere ottimizzato per fornire al meglio una delle due componenti ma non entrambe.

Un primo schema di principio di come potrebbe essere lo stadio finale di un rinnovato JLH e su cui si può già cominciare a riflettere è visibile nella figura sottostante:



Fig. 03 - Lo stadio di uscita del nuovo JLH
Come si può vedere il transistor Q1-G1 (che è lo stesso Tr1-G1 di cui abbiamo parlato prima) fa ora parte di un circuito completamente indipendente da quello dell'amplificatore e il cui compito principale è quello di mantenere stabile e costante la corrente che attraversa la resistenza Rsense in serie all'emettitore di Q2, cioè dell'inseguitore di tensione. Sebbene esso centri due obiettivi - il conseguimento di una regolazione stabile e affidabile della corrente di riposo e lo svincolo del guadagno ad anello aperto dell'amplificatore principale dalle vicende del carico - la sua stabilità rimane tutta da verificare. E pure da verificare con scrupolo in quanto ora il finale non è più composto da un solo amplificatore bensì da DUE che, secondo le aspettative, "dovrebbero" cooperare nell'alimentare il carico di uscita. Se lo fanno realmente lo dobbiamo ancora accertare.
In linea di massima con questa configurazione si può controllare direttamente: a) la corrente di riposo del finale; b) l'incidenza della "resistenza negativa" rispetto al carico; c) il guadagno ad anello aperto dell'intero amplificatore con tutte le conseguenze del caso riguardo la linearità, la banda passante e, importantissima, la stabilità di tutto l'amplificatore. Non solo ma i transistor utilizzati nello stadio finale finale non abbisognano di alcuna selezione particolare ma soltanto che rientrino di buona misura nei loro parametri tipici e che, naturalmente, non siano dei tarocchi! (IV)
Dalle simulazioni in corso su uno schema preliminare "quasi" completo, il comportamento effettivo del circuito è incomparabilmente migliore rispetto al JLH del 1969, con un comportamento molto più prevedibile, stabile e costante ma soprattutto NON critico; i due amplificatori cooperano ottimamente in tutte le condizioni paradossalmente proprio grazie al fatto che il servoregolatore di corrente, a causa dei limiti fisici dei dispositivi attivi e del circuito di controllo (volutamente impostato per avere un modesto tasso di retroazione per evitare di incorrere in problemi di stabilità), è tutto meno che perfetto: pur diminuendo fortemente le variazioni della corrente di emettitore uscente dall'inseguitore di tensione non ne ha però un controllo "ferreo" che, desiderabile in altre situazioni, potrebbe in questo caso rendere instabile il circuito a monte dell'inseguitore di tensione compromettendone la sicurezza di funzionamento.
In effetti le prestazioni del generatore di corrente preso a sé migliorano sensibilmente (ma tutt'altro che spettacolarmente) sia adottando circuiti più sofisticati sia aumentando  in maniera consistente il guadagno di anello.

Simulazioni di valutazione - JLH 1969

Qui di seguito si possono vedere alcuni "screenshot" di LTSPICE durante la simulazione di un circuito simile al JLH originale e di quello che intendo proporre al suo posto. Se si osservano distrattamente le forme d'onda delle correnti circolanti sull'uscita del JLH originale non si ha l'impressione che succeda poi chissà che cosa. Ma è una impressione fallace che crolla non appena ci si rende conto che le variazioni di corrente uscenti dall'inseguitore di tensione sono NETTAMENTE inferiori alle variazioni ci corrente circolanti sul carico, ovvero esattamente quanto dovremmo aspettarci in base alle considerazioni fatte fin ad ora in tutto questo articolo.
JLH 1969 - Schema adottato per la simulazione in LTSPICE
 Lo schema che è stato utilizzato per la simulazione del circuito originale ha la stessa struttura di questo ma purtroppo non sempre gli stessi componenti: i finali sono stati sostituiti da equivalenti "abbastanza equivalenti" dal punto di vista elettrico ma per nulla equivalenti dal punto di vista fisico. In una simulazione non fa alcuna differenza ma nella realtà la fa eccome! Occhio a non trasporlo di sana pianta nel reale perché altrimenti i finali vi fondono dopo dieci minuti!

In questo schema, a parte alcuni completamenti circuitali minori (come la rete di Zobel sull'uscita o il piccolo condensatore di compensazione da 10 pF, assenti nel progetto originale) vi sono sostanzialmente due "peperoni" che hanno preso il posto dei "pomodori" originali: 1) I transistori di uscita sono stati rimpiazzati da un loro ragionevole equivalente elettrico per i quali però si sono dovute adattare le resistenze R1 ed R2 in modo da avere una corrente di riposo non troppo distante dai valori originali (circa 1.2 ampere); 3) il 2N1613 originariamente usato come VAS è stato sostituito da un suo più che ragionevole equivalente plastico (il BC337). Delle due sostituzioni la più critica è naturalmente quella dei finali.

Dalle simulazioni effettuate con lo schema predetto sono state tratte alcuni screenshoots che denunciano come il jLH originale del 1969, mentre suonava, ne combinasse pure di cotte e di crude con la corrente che scorreva nei transistori di uscita e che fanno apparire ancor più azzeccato il classificarlo in un ambito a parte di amplificatori in classe "non A" e allo stesso tempo "non B". Qui sotto le screenshot commentate individualmente

Anzitutto, per orientarsi: il colore delle tracce di "osciloscopio" seguono una legenda comune a tutte le screnshoot e in particolare: 1) la traccia nera si riferisce alla variazione della corrente circolante in R14 dello schema usato per la simulazione, corrispondente alla resistenza posta in serie all'emettitore del transistor Q2 (l'inseguitore di tensione); 2) la traccia bluastra si riferisce sempre alla variazione della corrente circolante in R15, corrispondente alla resistenza posta in serie all'emettitore del transistori Q1 (il generatore di corrente variabile); 3) la traccia gialla invece si riferisce alla corrente sul carico.
Del carico sono dati due valori: il primo prossimo a quello effetivo di esercizio rappresentato da R12, fatto pari a 10 ohm; il secondo, equivalente in questo caso a 195 ohm, rappresenta l'amplificatore lavorante in assenza del suo carico nominale e riassume i contributi parallelati della resistenza di bootstrap R1 (qui fatta pari a 390 ohm) e di "precarico" R13 (330 ohm nello schema ma posta, nella simulazione, uguale ad R1 per comodità di conto).

JLH 1969 - 01 - Tensione di uscita: 1 V di picco - Corrente di uscita /su 195 ohm): 5.1 mA di picco
Questa illustrazione rappresenta in maniera sintetica quasi per intero le anomalie che caratterizzano il funzionamento del JLH originale. Infatti nonostante il fatto che l'amplificatore lavori scollegato dal suo carico nominale e che l'unico carico interno residuo si limiti ad assorbire 5.1 mA, cioè quanto dovuto per la legge di Ohm, nei transistori di uscita scorrono invece correnti  completamente differenti sia dal punto di vista del valore nominale sia da quello della forma d'onda che, contrariamente a quella del segnale, praticamente priva di distorsione, è invece fortemente distorta.
Queste due coppie di forme d'onda sono tuttavia ancora composite in quanto continuano ancora a incorporare la corrente di uscita vera e propria. La "vera" forma d'onda delle due coppie che si otterrebbe in assenza totale di QUALUNQUE tipo di carico, compreso quello dovuto alla rete di bootstrap, lo si può vedere invece nello screenshoot sottostante:

JLH 1969 - 01_B - Tensione di uscita: 1 V di picco - Corrente di uscita: assente
Questa screenshot (legendanera per R14 e bianca per R15) non solo evidenzia quanto già  visibile nella tavola JLH1969_01 ma lo mette completamente a nudo: lo stadio di uscita, pur in TOTALE assenza di carico varia la sua corrente come se ne fosse presente uno, oltretutto fortemente asimmetrico e non lineare.

JLH 1969 - 02 - Tensione di uscita: 1 V di picco - Corrente di uscita /su 10 ohm): 100 mA di picco
In questa screenshot si può constatare come, con le correnti più elevate richieste da un carico regolare, lo stadio di uscita del JLH sia "costretto" a ritornare ad un funzionamento ragionevolmente simile a quello di un normale push pull in classe A - ovvero, con tutta probabilità, quello effettivamente previsto dal suo progettista più di quarant'anni fa. In ogni ciclo del segnale rilevabile sul carico la corrente è fornita in parti quasi uguali da entrambi i transistori dello stadio di uscita.

Le screenshot che seguono non fanno altro che ribadire l'essenza di quanto appena detto: accanto alla corrente richiesta dal carico se ne sovrappone un'altra che costituisce un gioco completamente interno allo stadio di uscita e che dipende in gran parte dall'ampiezza del segnale con cui viene pilotato l'amplificatore e che, specialmente su carichi di impedenza relativamente elevata rispetto a quella prevista nominalmente sull'uscita, eccede largamente le necessità di questi.
Per meglio comprendere la situazione si prenda l'esempio della tavola 7 (la penultima) in cui a fronte di un assorbimento di una sessantina di milliampere (con 11 volt di picco) dovuti al carico di 195 ohm, lo stadio di uscita è soggetto ad escursioni asimmetriche interne di corrente che per Q2 (l'inseguitore di tensione) vanno da 300 mA (fase di uscita positiva) a oltre 480 mA (fase di uscita negativa), mentre per Q1 (Il generatore di corrente) si hanno, a parità di condizioni, due picchi di corrente rispettivamente di 360 mA e di 420 mA. La differenza di 60 mA tra i massimi di entrambi i transistori è ovviamente la parte di corrente dovuta al carico.
A ulteriore conferma si esamini la tavola 5 che in sostanza ripropone, a una tensione di uscita di 5 volt di picco, lo stesso quadro "clinico". In entrambi i casi allorché viene connesso all'uscita il carico nominale, lo sbilanciamento tra variazioni di correnti interne allo stadio finale e correnti richieste dal carico si riduce sì fortemente ma non al punto di scomparire.

JLH 1969 - 03 - Tensione di uscita: 2 V di picco - Corrente di uscita (su 195 ohm): 10.2 mA di picco
JLH 1969 - 04 - Tensione di uscita: 2 V di picco - Corrente di uscita (su 10 ohm): 200 mA di picco
JLH 1969 - 05 - Tensione di uscita: 5 V di picco - Corrente di uscita (su 195 ohm): 25.6 mA di picco
JLH 1969 - 06 - Tensione di uscita: 5 V di picco - Corrente di uscita (su 10 ohm): 500mA di picco
JLH 1969 - 07 - Tensione di uscita: 11 V di picco - Corrente di uscita (su 195 ohm): 56.5 mA di picco
Questo comportamento curioso e bizzarro rende di per sé conto di un altro fatto a lungo ritenuto un errore di misura  - la relativa costanza sia della quantità che della composizione della distorsione al variare della potenza di uscita - e che invece non solo non è affatto tale ma è in effetti una conseguenza inevitabile del modus operandi di questo stadio di uscita che, contrariamente a tutti gli altri amplificatori in classe A, vede la distorsione diminuire più o meno costantemente al crescere della potenza di uscita fino a quando non entra in saturazione, andando così a compensare quella che è la naturale tendenza della transconduttanza ad aumentare la distorsione al crescere dell'escursione di corrente del segnale in rapporto al valore statico definito come corrente di riposo (che, nei dettagli, continua comunque a rimanere una regola pienamente valida). 

JLH 1969 - 08 - Tensione di uscita: 11 V di picco - Corrente di uscita (su 10 ohm): 1.1 ampere di picco
Tutto quanto scritto appena sopra non avrebbe alcuna importanza se il JLH, anziché essere un amplificatore fosse, per dire, una specie di "spaghetti all'arrabbiata" o un'infornata di "brutti e buoni": anzi, in questi casi il "venir male" fanno parte del loro modo di essere. In un amplificatore però l'esser "buono" (ovvero il cosiddetto "suonar bene") non è (e non deve essere) un'attenuante nei confronti delle sue pecche tecniche. E queste, nel JLH originale - ma anche nei suoi epigoni - abbondano un po' troppo. Se si vuole trasformarlo in un qualcosa che funzioni in maniera un po' più affidabile di quanto consenta l'ingraziarsi la benemerenza del Sommo Architetto, occorre ripensare il tutto in modo che ci si possa tenere quello che, senza ombra di dubbio, è un bel bambino, lasciando che però l'acqua sporca finisca nello scarico che si merita. E questo lo si può ottenere solo ripensandolo a fondo.

Simulazioni di valutazione - JLH 2012

In fig. 03 abbiamo già proposto lo schema di massima di uno stadio di uscita che, evolvendo dai principi illustrati nella parte iniziale di questo articolo, possa divenire un adeguato successore dello stadio impiegato nel JLH originale. Qui sotto riproponiamo lo schema che ne è derivato per produrre le tavole di "oscilloscopio" che ci servono per confrontarle con le analoghe già prodotte sulla simulazione del JLH originale.

JLH 2012 - Schema di principio del solo stadio di uscita.


In questo schema è rappresentato il solo stadio di uscita nudo e crudo accompagnato dal suo servoregolatore di corrente. Tutto il resto dell'amplificatore che lo precede è stato qui sostituito e "riassunto" da un generatore di tensione. Le simulazioni che ne risultano, sebbene incomplete, sono però già sufficienti sia a illustrare il comportamento di questo stadio di questo sia soprattutto a evidenziarne le differenze sostanziali con quelle prodotte sul circuito del JLH 1969.


JLH2012 - 01A - Variazione di corrente su R2  (R1 coincidente) - Vout 2 Vpk, RL assente)
JLH2012 - 01B - Variazione di corrente su R2 e su R1 - Vout 2 Vpk, RL 10 ohm)
JLH2012 - 02A - Variazione di corrente su R2  (R1 coincidente) - Vout 5 Vpk, RL assente)
JLH2012 - 02B - Variazione di corrente su R1 ed R2 - Vout 5 Vpk, RL 10 ohm)
JLH2012 - 03A - Variazione di corrente su R2  (R1 coincidente) - Vout 11 Vpk, RL assente)
  
JLH2012 - 03B - Variazione di corrente su R1 ed R2 - Vout 11 Vpk, RL 10 ohm
Nelle tavole soprastanti la componente nera rappresenta sempre la variazione di corrente che scorre su R2 in serie all'inseguitore di tensione, mentre quella bluastra rappresenta la variazione di corrente su R1 in serie all'emettitore del generatore di corrente; infine la componente magenta rappresenta la corrente che scorre nel carico (quando connesso). Ciò che emerge con evidenza da questa serie di tavole, se confrontata con la prima, è l'uniformità e regolarità di comportamento del circuito sotto esame. Vi sono però anche altre differenze più fini che vale la pena di sottolineare:

1) Le variazioni di corrente in assenza di carico (tavole A della serie), contrariamente a quelle sul carico di 195 ohm del JLH 1969, sono tutte molto lineari, segno che esse sono prodotte non dal pilotaggio in concorrenza dei due transistori di uscita (caso del JLH 1969) ma da una "scadente" SVR rispetto alla... uscita dell'inseguitore di tensione, ovvero dal fatto che il servoregolatore di corrente non sente soltanto le variazioni di tensione prodotte dalla corrente di uscita che scorre in R2 ma anche la tensione di uscita vera e propria dell'inseguitore stesso. Il rimedio, come già detto in precedenza è aumentare il guadagno di anello del servoregolatore a patto di accettarne le controindicazioni - una stabilità minore del circuito ora simulato (che già ora, per rimanere in riga, richiede comunque una compensazione piuttosto robusta) - anch'esse già accennate in precedenza.


2) Il rapporto tra carico reale e carico apparente visto dall'inseguitore di tensione è molto più costante di quello esistente nel JLH originale, fattore che va a tutto vantaggio della stabilità e della linearità del circuito, con un solo svantaggio abbastanza relativo e cioè l'abbandono della (peraltro imprecisa) costanza della distorsione con il variare della ampiezza della corrente del segnale rispetto a quella di riposo e il ritorno della relazione tra queste due grandezze all'andamento consueto rilevabile in praticamente tutti gli amplificatori audio esistenti.



Il progetto - Lo schema elettrico

Giunti a questo punto possiamo finalmente passare dalla fase di "studio" a quella di elaborazione del progetto vero e proprio che, alla luce di quanto detto finora, dovrebbe ormai risultare "diretta" almeno quanto lo è l'elaborazione del progetto di qualsiasi altro amplificatore audio.
L'unico nodo che resta da sciogliere sta... nel decidere in che direzione si desidera andare avanti in quanto, oltre al "restyling" del JLH, il concetto di servoamplificatore di corrente può essere sviluppato anche come evoluzione del cosiddetto "current dumping" che, anziché essere attuato da degli stadi di uscita sì ausiliari ma sempre strettamente dipendenti dall'amplificatore di tensione principale (VAS), sarebbe questa volta servito da un vero e proprio servoamplificatore che, pur al servizio dell'amplificatore principale, è funzionalmente un amplificatore completamente indipendente e separato da quello da cui "prende ordini". Servoamplificatore che per altro nessuno vieta di far funzionare in classe AB pur garantendo, all'uscita dell'inseguitore di tensione, le prestazioni di un classe A, andando così pure a costituire una potenziale rielaborazione degli amplificatori "stasis"...
Al tempo; ne riparleremo più avanti, senza correre. Al momento è bene portare a termine il progetto da cui siamo partiti. Progetto che, almeno dal mio punto di vista, a questo punto si riduce semplicemente a completare il circuito dello stadio di uscita del JLH 2012 con un adeguato front-end in tensione composto da un VAS e da uno stadio di ingresso differenziale il quale, al di là dei dettagli, non si differenzierà in nulla rispetto a quelli utilizzati in migliaia di altri amplificatori utilizzanti stadi di uscita più convenzionali.
Come si può ben capire, questo è un approccio che alla fine del JLH originale non lascerà in piedi quasi nulla e che da qualcuno potrebbe pure essere preso come un "tradimento". Pazienza! Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca: anche per l'elettronica vale la regola che ogni progresso in qualcosa non solo lo va a sostituire ma in parte anche a cancellarne le origini. In appendice vedremo però anche se e come sia possibile salvare qualcosa dell'originale e con esso, inevitabilmente, anche una parte dei suoi difetti. Per ora rimaniamo sulla prima parte.


JLH 2012  - Schema elettrico del finale, completo del suo alimentatore (riferito a un solo canale)

Lo schema del finale è composto da tre sezioni nettamente distinte: 1) il VAS imperniato sul TL071, trapiantato di peso dal circuito di ingresso dell'amplificatore per cuffia che presentai sul numero 148 di Costruire Hi-Fi, dell'agosto 2011; 2) un inseguitore di tensione composto da due finali complementari MJL4302 e MJL4381 pilotati in un arrangiamento "simil-Bryston" da un unico BD137 usato come pilota; 3) una coppia di MJL4381 connessi in parallelo che, insieme al differenziale che li pilota tramite un altro BD137
, costituiscono il servoregolatore di corrente.
Il servoamplificatore di corrente lavora come tale soprattutto al di sotto dei 2.5 kHz, dove interviene fornendo attivamente corrente al carico al posto dell'inseguitore di tensione (che in questa banda lavora praticamente a corrente costante con variazioni di più o meno 50 mA contro una corrente di riposo di oltre 2 ampere), mentre a partire da detta frequenza cede gradualmente il controllo della corrente di uscita all'inseguitore di tensione che ritorna così a lavorare in modo parzialmente "classico" (inseguitore di tensione caricato da generatore statico di corrente) in una banda di frequenze dove comunque le escursioni di segnale e le conseguenti richieste di corrente e potenza sono ormai piuttosto ridotte. La ragione di questa limitazione di banda passante è unicamente legata all'esigenza di prevenire instabilità e inneschi che risulterebbe letali sia per gli altoparlanti che per gli stessi finali.
L'intero finale prevede due punti di regolazione: il più importante, nel circuito di controllo del servoregolatore, è il trimmer da 2.2 kohm che serve a fissare la corrente di riposo che scorre nella resistenza da 0.22 ohm che funge da "sensore" della corrente di uscita e di conseguenza anche la corrente di riposo dell'intero stadio di uscita. Il secondo punto di regolazione, costituito dal trimmer da 470 ohm incluso nel circuito di base del MJL4302, serve invece a equilibrare la distribuzione delle correnti tra questo finale e il suo compagno nel circuito dell'inseguitore in modo che a riposo siano attraversate grossomodo dalla stessa corrente (questa regolazione è invece assente nella coppia di MJL4381 che costituisce lo stadio di uscita del servoregolatore in quanto all'equipartizione della corrente di riposo su entrambi i transistori provvedono già le resistenze di emettitore da 0.47 ohm, che andranno di conseguenza scelte per essere di identico valore - di passata il trimmer da 470 ohm andrà regolato in modo tale che sulla resistenza da 0.47 ohm in serie all'emettitore del PNP MJL4302 si legga grossomodo la stessa caduta di tensione rilevabile su una qualsiasi delle due resistenze da 0.47 ohm presenti nello stadio servoregolatore
L'alimentatore per questo finale andrà assemblato in modo che ciascun canale sia alimentato indipendentemente; la ragione di ciò non sta in unfantomatica miglior separazione rispetto ad un alimentatore singolo ma piuttosto nel fatto che, essendo in un amplificatore in classe A i condensatori di alimentazione e i ponti raddrizzatori continuamente sotto forte stress, è opportuno distribuire e "spalmare" quanto più possibile lo sforzo, A tale scopo ogni amplificatore dovrà essere alimentato da un ponte da 10 ampere reali e filtrato con tre condensatori in parallelo da 4700 uF, 63 volt di lavoro. I quasi 15.000 uF risultanti di filtro per ciascun finale non dovranno essere IN NESSUN CASO sostituiti da un solo condensatore della stessa capacità in quanto questi andrebbe rapidamente incontro a problemi di affidabilità causati dal surriscaldamento interno generati dagli intensi e continuati picchi di ricarica richiesti dall'erogare continuativamente due ampere in continua per ciascun canale. Il trasformatore di ciascun canale dovrà essere in grado di erogare con continuità 30-32 volt efficaci e 6 ampere, per una potenzdi servizio di circa 200 VA.

Come tutti i classe A, anche questo si presta all'adozione di un'alimentazione induttiva utile soprattutto a smorzare i picchi di ricarica dei condensatori e ad allungare di parecchio la vita dell'intero alimentatore (fusibili compresi). In questo caso però Il prezzo da pagare è l'uso di un trasformatore in grado di tirar fuori sul secondario circa 45-50 volt efficaci anziché i 30-32 richiesti ad un'alimentatore convenzionale; un prezzo però controbilanciato dal fatto che il trasformatore può essere scelto di potenza molto inferiore: 120-150 VA contro i 200-250 VA richiesti da un alimentatore a filtraggio capacitivo. D'altra parte va anche tenuto conto, nell'intera operazione, che quanto risparmiato sul costo del trasformatore va a travasarsi in pieno nel costo degli induttori di filtro che, dovendo essere previsti per lavorare con almeno 3 ampere in continua, vanno fatti avvolgere ad hoc.
 Occorre insomma soppesare bene i pro e i contro di questa strada.

Dove invece la scelta è più vincolata da motivazioni tecniche è l'adozione di una alimentazione singola al posto della duale. Mentre questa infatti può essere una scelta obbligata a potenze di uscita molto elevate a causa dell'alto costo che hanno i condensatori di accoppiamento all'altoparlante di capacità e tensione di lavoro elevata, questo vincolo non ha più molto senso quando si lavori con tensioni di alimentazione totali inferiori ai 50-60 volt. A fronte di qualche euro in più di spesa rispetto all'alimentazione duale, l'alimentazione singola porta in dote una migliore reiezione ai disturbi di alimentazione e una sua più robusta tenuta al salire della frequenza di lavoro dell'amplificatore
, soprattuto quando, come in questo caso, ci si è appoggiati ad un amplificatore operazionale per allestire il VAS, a cui peraltro in questo caso è stato dedicato un alimentatore ad hoc di tipo shunt. Oltre a questo offre naturalmente una protezione intrinseca degli altoparlanti in caso di bruciatura dei finali, che altrimenti richiederebbe un ciruito dedicato alla protezione del carico.


Il progetto - Il circuito stampato

Qui di seguito è visibile sia la traccia per il circuito stampato lato rame sia la disposizione dei componenti sul lato in cui questi vanno montati. Da questo circuito è stato volutamente escluso l'alimentatore che andrà montato tramite pagliette e conduttori di grosso spessore (almeno 2 millimetri). Il ponte raddrizzatore andrà tassativamente montato sul telaio per consentirne il raffreddamento.


JLH2012 - Circuito stampato lato componenti - La resistenza d'ingresso "senza nome"
sotto il piccolo ponticello rosso in basso a sinistra è da 180 kohm

JLH2012 - Circuito stampato lato rame - Dimensione effettiva: 9 x 10 cm (b x h)

Per quanto riguarda i transistori finali occorre tener conto che ciascun canale, settato a 3 ampere continui (la corrente utile per poter lavorare con tranquillità a piena potenza su carichi da 8 ohm soltanto nominali - 5 ohm minimi resistivi), dissipa la bellezza di 130 watt a riposo che andranno ripartiti tra i quattro finali (ciascuno dei quali si ritroverà a boffare quasi 35 watt di calore, fatto che richiede un montaggio meccanico accurato sul dissipatore e soprattutto una capacità di dispersione termica adeguata da parte di quest'ultimo: ipotizzando che tutti e quattro i transistori di potenza siano montati su un unico dissipatore per canale, quest'ultima non dovrà avere una resistenza superiore agli 0.5 °C/W; nel caso non vi siano preclusioni di principio al loro uso, consiglio vivamente l'adozione di una buona ventola da 12 Vcc facilmente reperibile presso i rivenditori di materiale per computer che, al prezzo di un modesto incremento del rumore di fondo, può arrivare a ridurre drasticamente le dimensioni del dissipatore al punto da rendere sufficiente per entrambi i canali un radiatore che altrimenti potrebbe servire uno solo dei due canali.
Sempre rispetto ai possibili problemi termici, sulla traccia dello stampato sono previsti gli spazi per inserire in serie alle basi dei finali dell piccole resistenze da  4.7 ohm che, nel caso la corrente di riposo tendesse a distribuirsi in modo troppo diseguale tra i due partner di ciascuna coppia, può aiutare a migliorarne l'equilibrio, mentre invece la stabilità della corrente totale dello stadio di uscita è comunque assicurata dal servoregolatore di corrente.


Qualcosa per i "duri e puri"...

Come già più volte asserito, questo amplificatore dal JLH originale ne ha tratto solo gli spunti concettuali su cui svilupparsi per poi proseguire sulla propria strada. Difficilmente quindi potrà accontentare i fan "duri e puri" del JLH originale per i quali comunque alcune alternative al rimanere inchiodati per l'eternità al JLH del 1969 ci sono e, nell'insieme, possono costituire un ragionevole compromesso tra conservazione dei pregi dell'originale e una discreta limitazione dei suoi difetti che lo rendevano un potenziale "disastro annunciato".
Una prima importante osservazione è che i transistori di uscita possono essere qualsiasi, al limite anche dei MOSFET di potenza (usati però nella topologia JLH originale e non nella versione che ne ha tratto Pass che, semplicemente, con il JLH non ha alcunché a che fare tranne, a malapena, il nome): non sono loro a decidere il modus operandi dello stadio di uscita ma proprio la topologia di quest'ultimo. La migliore opzione possibile rimane comunque quella di utilizzare transistori di uscita bipolari di potenza di concezione moderna a beta costante che, eliminando uno dei due principali generatori di distorsioni (le variazioni del beta) consentono di concentrare le proprie risorse sull'obiettivo di rendere effettivamente ininfluente il secondo fattore - la non linearità della transconduttanza gm - rendendo così fattibile la concretizzazione di uno stadio di uscita praticamente privo di distorsioni ma ancora effettivamente riconoscibile come discendente diretto del JLH originale.

In realtà almeno a uno dei difetti del JLH originale (l'indefinitezza della corrente di riposo dei transistor di uscita e la sua regolazione, aveva già trovato una soluzione lo  stesso Linsley-Hood nella versione che pubblicò nel 1996:



Il John Linsley Hood nella versione pubblicata nel settembre 1996 su Electronics World.
Una soluzione semplice e funzionale (costituita da R10 da 0,33 ohm, dal transistor TR5 e dal suo circuito di polarizzazione) il cui principale obiettivo era risolvere un problema andando a modificare il meno possibile il circuito originario, cosa che potrebbe essere vista come una implicita ammissione che, oltre 26 anni dopo la pubblicazione della versione originale, l'autore forse non ne aveva ancora ben compreso la natura del modus operandi del suo stesso circuito. In questa nuova versione del JLH, se i problemi relativi all'affidabilità e ai pericoli di valanga termica presenti nella versione originale si possono ritenere superati, lascia però pienamente operanti tutti gli altri.
Inoltre la soluzione di passare all'alimentazione duale continuando a mantenere il transistor di ingresso in single-ended alimentandolo in qualche modo per aggirare i problemi che inevitabilmente ne conseguono appare un problema aggiuntivo del tutto gratuito che si poteva risolvere egregiamente sia mantenendo l'alimentazione singola e il condensatore di uscita, sia sostituendo il transistor in single-ended all'ingresso con un onesto differenziale che, oltre a fornire prestazioni migliori, avrebbe pure evitato di ricorrere a soluzioni inutilmente cervellotiche rese necessarie unicamente dal suo NON impiego. Anche questo va ad incrementare di numero i già molti indizi che segnalano come John Linsley Hood, nonostante ci tenesse a questo amplificatore (altrimenti non lo avrebbe "rinfrescato" dopo così tanto tempo passato dalla prima proposta), non avesse ancora potuto affrontare un'analisi circuitale sistematica del suo funzionamento e che pertanto, nel dubbio, cercasse di apportare il minimo di cambiamenti possibili sia al circuito sia soprattutto alla sua topologia per non intaccarne la timbrica.
Aveva però, nel modificare l'esistente il meno possibile, le sue buone ragioni da vendere: non appena nel Linsley Hood classico si eleva il guadagno ad anello aperto a livelli anche appena sufficienti a fornire un tasso di retroazione idoneo ad apportare migliorie significative alle prestazioni del circuito, "l'effetto Linsley Hood" semplicemente SPARISCE, trasformando il generatore di corrente attivo in un quasi  normale generatore di corrente statico uguale a tanti altri che vengono utilizzati per caricare l'uscita di un inseguitore di tensione. Detto in altro modo: l'effetto si manifesta in maniera apprezzabile SOLTANTO se si usa un VAS con un guadagno intrinseco di tensione piuttosto basso e, finché si resta nell'ambito del circuito classico proposto nel 1969, l'esigenza di ottenere un elevato tasso di retroazione per diminuire le distorsioni ed elevare la SVR del circuito fa direttamente a pugni con quella di conservare il particolare modus operandi del suo stadio d'uscita.

La questione che ora si pone è: conservando la topologia dello stadio di uscita originale del Linsley Hood è possibile definire un circuito che metta d'accordo queste esigenze altrimenti in conflitto? La risposta è SI e richiede in pratica nient'altro che di separare le funzioni di VAS e di pilota dello stadio di uscita destinandole a due circuiti distinti e relativamente indipendenti tra loro. La soluzione non sarà mai quella ottimale conseguibile con il JLH2012 ma, senza stravolgerne (troppo) la natura, sarà di gran lunga migliore di quanto ottenibile in precedenza sia dal JLH originale del 1969, sia dalla variante proposta dal suo autore nel 1996.

Quello che noi faremo qui è però un passo più modesto ed entro certi limiti anche più comprensibile a chi, abituato a riconoscere il Linsley Hood come un ampli caratterizzato da una certa struttura circuitale, non lo riconoscerebbe incorporato in una struttura differente. E già così, come è possibile constatare dallo schema sottostante, la digestione si preannuncia "difficile" soprattutto per i tanti "spiriti semplici" che popolano il mondo audio... ;-)


Il JLH 1996 in una versione "leggermente" riveduta e corretta
Lo schema qui visibile è decisamente più "popolato" del JLH originale e per un ottimo motivo: se si vuole conservare il comportamento del circuito originale occorre assicurarsi che il VAS  abbia un guadagno intrinseco abbastanza contenuto (il guadagno ad anello aperto dell'intero amplificatore è pari a 250 volte, 48 dB, addirittura inferiore a quello proprio del JLH 1969) con la conseguenza che i problemi la cui soluzione è normalmente delegata alla retroazione (linearità ed SVR innanzitutto) devono qui essere risolti direttamente in altri modi.
Che non sono poi tantissimi: il problema della linearità dell'amplificatore si può risolvere aumentando la linearità dei singoli stadi (anzitutto il VAS che vede l'impiego di un Sziklay invertito uscente di emettitore) mentre invece la SVR può essere mantenuta ad un livello decoroso (in questo caso 65 dB) soltanto adottando un'alimentazione singola che permetta di isolare dinamicamente dall'alimentazione la parte del circuito che tratta direttamente il segnale. Un livello decoroso che però ancora non rende del tutto superflua la presenza non tanto di uno stabilizzatore quando almeno di un filtro attivo, tipo i cosiddetti "Virtual Batteries"). 
L'amplificatore infatti esibisce, pur contenuta al di sotto dei 90 dB - 0.003% - una distorsione generata per intermodulazione con le spurie presenti sull'alimentazione già ben visibile nel fondo delle simulazioni dello schema soprastante in cui, tra le altre cose, si è inserito anche l'essenziale di un alimentatore reale proprio per ottenere risultati più realistici di quelli ottenibili assegnando alle alimentazioni i generatori di tensione ideali di SPICE. 
In questo schema, approfittando anche della relativa velocità dei finali e del fatto che lavorano effettivamente in classe A (quindi sfruttando in pieno tutta la loro banda passante), si è suddivisa la compensazione in tre componenti: una parte fissa (CDM3 da 3.3 nF) e due dinamiche (CDM1 e CDM2 da 1 nF) che, nell'insieme consentono all'amplificatore di mantenere  una banda ad anello aperto di circa 8 kHz con un guadagno ad anello aperto pari a 522 volte (54 dB), quasi 1.4 volte superiore a quella del JLH originale. Il guadagno ad anello chiuso è invece pari a 22.4 volte (27 dB), praticamente la radice quadrata del guadagno ad anello aperto che ne suddivide in due parti identiche il guadagno utile ad anello chiuso e la riserva confinata nel guadagno di anello. Le distorsioni stimate dal simulatore, con 10 volt di picco su 10 Ohm nominali (i 2/3 della massima tensione di uscita di picco) corrispondenti a 5 watt (cosiddetti) RMS (poco meno della metà della massima potenza di uscita su 10 ohm  - 11 watt che diventano 14 watt su 8 ohm nominali e oltre 20 su 4 ohm), ammontano ad anello aperto a circa 0.25% a 10 kHz e 0.07% a 1 kHz - La distorsione di intermodulazione stimata dal simulatore con le spurie di alimentazione sono all'incirca, nelle stesse condizioni operative e sempre ad anello aperto, cinque-sei volte inferiori ai corrispondenti valori di distorsione armonica.
L'amplificatore ha due punti di regolazione: TRQ1, rappresentata da una resistenza fissa da 560 ohm ma che è in realtà un trimmer da 1 kohm, e TRG1, sempre rappresentata da una resistenza fissa da 10 kohm quando in realtà è costituita da un trimmer da 22 kOhm o anche se occorre un'escursione più ampia di valori, di 33 kohm. Il primo dei due trimmer serve a regolare la corrente di riposo dello stadio di uscita in un valore compreso tra 0 e un massimo di 4 ampere (corrispondenti a 50 watt di dissipazione per finale ottenibili soltanto utilizzando una ventola di raffreddamento). La corrente di riposo nominale va effettivamente regolata per un valore compreso tra i 2 e i 2.5 ampere, corrispondenti a 30-35 watt dissipati per ciascun transistor, il massimo dissipabile senza far uso di ventole.
La funzione del secondo trimmer è invece quello di regolare il guadagno in tensione del solo VAS in modo tale che l'effetto "Linsley Hood" si verifichi in proporzioni accettabili. La taratura di questo trimmer richiede un oscilloscopio a doppia traccia in cui visualizzare contemporaneamente le variazioni di corrente sugli emettitori dei transistori di uscita "bassi" e quelle sugli emettitori dei transistori di uscita "alti" che dovrà, compatibilmente con le capacità di corrente richieste dal carico alla parte dello stadio di uscita, essere quanto più possibile minimizzata.

Di quest'ultima versione non sarà per il momento proposto alcun circuito stampato ma soltanto offerto come spunto di progetto per eventuali interessati. Non essendo affatto banale da portare a termine, viene lasciato privo di ulteriori indicazioni proprio per evitare che vi si "buttino" eventuali principianti che, non in possesso delle necessarie conoscenze per portarlo a termine per proprio conto, si ritroverebbero alla fine con un inutile (e costoso) rottame. L'eventuale prosieguo di quest'ultimo spezzone di progetto dovrà essere portato avanti (anche, entro certi limiti, con la mia assistenza) solo da hobbisti esperti e in grado di procedere autonomamente con lo sviluppo del progetto in questione.

Grazie per la pazienza di aver letto tutto questo "papiro" fino alla sua conclusione.



Piercarlo Boletti
(Milano, 25 novembre 2012)



NOTE ------------------------------------------------------------------



(I) Il "praticamente costante" è interamente dovuto al fatto che, nella realtà, il transistor che funge da generatore di corrente costante ha un'impedenza di collettore finita che, per i finali di potenza, non è neppure particolarmente elevata: variazioni della corrente Ic con la tensione VCE dell'ordine del 5-10 per cento sono piuttosto comuni e peggiorano sensibilmente all'aumentare della corrente di lavoro.

(II) Questi arrotondamenti non sono degli insulti alla matematica o peggio ancora all'aritmetica ma soltanto degli arrotondamenti pratici dovuti al fatto che, stante la limitata precisione e ripetibilità con cui è possibile conoscere i reali parametri di lavoro di un circuito, non ha alcun senso perdere tempo in bizantinismi numerici che lascerebbero soltanto il tempo che trovano.

(III) Per comodità riportiamo qui di seguito la Eqn 02 riveduta PER IL SOLO JLH che permette di calcolare il massimo guadagno di tensione risolvendo una sola equazione:


Come si vede, la sola differenza rispetto a Eqn 02 è che il numeratore è stato elevato al quadrato.

(IV) Buon ultimo, nulla vieta di utilizzare, per i due transistori di uscita, quello che si ritiene più idoneo allo scopo o anche di utilizzare per uno un bipolare e per l'altro un MOSFET; questo perché i due transistori di uscita sono in effetti i transistori di uscita di due amplificatori diversi specializzati uno come amplificatore di tensione e l'altro come amplificatore di corrente.



L'amplificatore è stato (finalmente!) collaudato il 6 gennaio 2014.
Come amplificatore audio funziona perfettamente e suona bene ma...
la sorpresa per me è stato il constatare con mano che, a meno che non si necessiti anche di una stufa, non vale  in alcun modo la pena di costruire amplificatori in classe A: non c'è alcuna differenza udibile rispetto a un buon finale in classe B! :-(